"L' Altra Molfetta" di Giugno 2016
Articolo del dott. Francesco Stanzione
Quando “L’Altra Molfetta” sarà
distribuita nelle edicole e queste mie note verranno lette, saranno passati ormai
una decina di giorni da quel 22 maggio 2016 che ha visto la Venerabile
Arciconfraternita della Morte scrivere una delle pagine più belle della sua
plurisecolare storia; che tutto sia stato solo un bel sogno ad occhi aperti, ne
sono convintissimo, sarà invece un dubbio che attanaglierà molti di quelli che
in quel giorno sono stati a Roma per partecipare al pellegrinaggio penitenziale, dalla stessa organizzato
in occasione dell’Anno Giubilare della Misericordia indetto da Papa Francesco.
Già immagino che i miei toni entusiastici, nel descrivere ciò che è
avvenuto nella circostanza, urteranno la suscettibilità di chi, eternamente nelle
retrovie del Sodalizio, è storicamente contro tutto e tutti (purtroppo tale “genia” è presente ovunque).
Altrettanto bene so che a qualcun’altro, critico per vocazione, strapperò
il solito sorrisino beota di commiserazione, perchè riterrà quanto scrivo
partorito da mente affetta da “schizopatia
congenita” (errata terminologia coniata da un luminare locale della
medicina), o perchè roso dalla consapevolezza dell’incapacità o impossibilità
di ritagliarsi un “posto al sole”
nell’ambiente confraternale e si nasconde dietro “càlami anonimi”.
Ciò premesso, chiedendo scusa agli altri lettori per questa parentesi, mi
accingo a porgere la mia testimonianza di quei momenti di grazia vissuti a Roma
durante quella giornata, come “sodàle”
e profondo conoscitore dell’ambiente confraternale, in quanto ex Priore.
Prima di tutto i numeri: 11 pullman organizzati dall’Arciconfraternita ed
oltre 1.500 “pass” per l’accesso in
Vaticano, da questa rilasciati a chiunque abbia voluto partecipare,
confratelli, concittadini ed amici di altre città vicine e meno vicine, come i
confratelli di San Severo, Vico del Gargano, San Nicandro Garganico e Sessa
Aurunca.
Il lavoro di preparazione dell’evento è stato immane; ha coinvolto, da
subito dopo Pasqua, confratelli di tutte le età, ma soprattutto i più giovani a
cui è affidato il futuro dell’Arciconfraternita.
Vorrei veramente che la città avesse visto con quanto entusiasmo e spirito
di sacrificio i nostri confratelli si sono prestati ad essere presenti, ogni
sera, presso l’Oratorio, ad accogliere le richieste e le esigenze di quanti
hanno voluto partecipare al pellegrinaggio.
La mattina, dunque, di un piovoso sabato 21 maggio, alle ore 7.00, la nostra
bellissima Pietà del Maestro Giulio Cozzoli, precedentemente sistemata in una
cassa sotto la supervisione della Sovrintendenza ai Beni Culturali, è stata
caricata sul camion di una ditta specializzata, unitamente a tutto il resto che
si può vedere durante le nostre processioni pasquali (croce, baldacchino ecc.);
a questa operazione, sotto la pioggia, assistevano molti confratelli con il
volto commosso che, come il sottoscritto, cercavano di contenere le lacrime.
Commovente al massimo il momento in cui il camion è partito alla volta di
Roma, seguito da una scorta di due auto, tra cui la mia, nella quale si è
pregato nell’intimo dei propri pensieri e si sono ascoltate (perchè vergognarsi
a dirlo?) anche le nostre bellissime marce funebri.
Il viaggio in autostrada alla media di 90 chilometri orari è
indimenticabile; i vari panorami, la Daunia, l’Irpinia, il Casertano, la
Ciociaria, ci scorrevano lateralmente, ma gli occhi sono stati puntati per sei
ore, con apprensione e trepidazione, su quello sportello posteriore del camion
che conteneva al suo interno tutte le lacrime, le speranze e le storie
personali delle migliaia di confratelli che, da quel lontanissimo 26 aprile
1613, si sono affidati alla protezione della SS. Madre dei Dolori e Madre di
Dio.
Giunti a Roma, presso la scalinata della Basilica di S. Giovanni dei
Fiorentini, ad aspettare la Madonna c’erano un paio di centinaia di molfettesi
già arrivati nella capitale, che hanno assistito a tutte le operazioni di
trasferimento della “sacra cassa”
all’interno della chiesa in cui, nemmeno a farlo apposta, è venerata la
reliquia di un frammento del piede di Santa Maria Maddalena, Patrona
dell’Arciconfraternita della Morte.
La Pietà è stata successivamente intronizzata lateralmente al presbiterio,
in un contesto artistico, pittorico e scultoreo di grande valenza che, anzichè
sminuirla, ne ha aumentato la bellezza, offrendola alla vista ed alla
venerazione di turisti provenienti da tutto il mondo.
L’indomani, domenica mattina, dopo la Celebrazione Eucaristica officiata da
Mons. Paul Richard Gallagher, responsabile della Santa Sede per i rapporti con
gli Stati, alle ore 9.00 in punto la Pietà ha varcato la soglia della Basilica,
alla volta di Piazza S. Pietro, dove è giunta in processione alle ore 11.30,
attraversando il ponte di Castel Sant’Angelo e percorrendo Via della
Conciliazione; signori miei, vogliate scusarmi ... stiamo parlando di Castel
Sant’Angelo e non di “mmezz o Castidd”, di Via della Conciliazione e non
di Via Annunziata, di Piazza S. Pietro e non di Piazza Cappuccini, senza nulla
togliere a persone e luoghi della nostra pur amata città ... non so se è poco.
La processione, ugualissima anche nei tempi, a quella che abitualmente si
svolge a Molfetta nella giornata del Sabato Santo, è stata aperta dalla Bassa
Musica Città di Molfetta che eseguiva il ti-tè ed è stata accompagnata dal
Complesso Bandistico “Francesco Peruzzi” che eroicamente ha suonato le
marce funebri quasi ininterrottamente per sei ore, sotto una calura ormai
pienamente estiva.
Giunti in Piazza S. Pietro e sistemata la Madonna sulle “forcelle”,
abbiamo tutti ascoltato il Santo Padre che, all’Angelus, con parole semplici ma
efficaci, ha illustrato ai fedeli il significato della SS. Trinità della quale
quel giorno era la Solennità Liturgica; una SS. Trinità definita come una
Famiglia di Tre Persone che si vogliono bene l’una con l’altra e della quale
siamo tutti, come per volontà del Padre Eterno al momento della creazione,
immagine e somiglianza. Ne deriva da ciò la grande responsabilità affidata
all’uomo, nel proteggere e difendere i valori della famiglia, “speculum” di quell’armonia eterna che è
nella SS. Trinità e basata sul matrimonio, indissolubile per sua stessa natura
in quanto suggellato da Dio.
Dopo la benedizione papale è accaduto ciò che nella storia non è stato mai
concesso ad altri: la processione della Pietà è entrata solennemente nella
Basilica di S. Pietro attraverso il portone centrale, sempre chiuso ed
appositamente aperto per l’occasione. Io ho visto aprire quel portone
dall’interno, assieme a tanti altri molfettesi che quasi non credevano ai
propri occhi dinanzi al materializzarsi dell’impossibile ... la Pietà ha
varcato il maggior tempio della Cristianità, lo ha percorso lentamente, portata
a spalla dai confratelli fino davanti al baldacchino del Bernini. A
questo punto si è, involontariamente e casualmente, riprodotto nella Basilica
di S. Pietro il Sepolcro che si allestisce nella Chiesa del Purgatorio il
Giovedì Santo, con al centro la Pietà, a destra S. Pietro assiso sulla Cattedra
e a sinistra la grande statua marmorea della Veronica scolpita da Francesco
Mochi nel 1640 e a cui Giulio Cozzoli si è ispirato nella realizzazione di
quella da noi portata in processione a Molfetta,
Un susseguirsi continuo di emozioni, sempre in crescendo che, dopo essere
transitati davanti alla tomba di Giovanni Battista Cybo, Vescovo di Molfetta
dal 16 settembre 1472 al 29 agosto 1484, salito al Soglio Pontificio con il
nome di Innocenzo VIII, è culminato con la Pietà di Giulio Cozzoli
rivolta verso quella di Michelangelo (due capolavori d’arte a confronto), prima
di uscire dalla Basilica di S. Pietro.
Per lo stesso itinerario della mattina la processione ha fatto rientro
nella Basilica di S. Giovanni dei Fiorentini, alle ore 16.00 in punto e come da
programma, sotto un sole che aveva fatto sciogliere l’asfalto posto ad unire
tra loro i “sampietrini” che hanno reso ancor più faticoso il compito di
chi, come me, ha avuto anche il grandissimo onore di portare a spalla la
Madonna.
Rientrata in chiesa, immediatamente sono iniziate le operazioni per il “ritorno a casa” della Sacra Icona,
nuovamente scortata dagli stessi confratelli dell’andata fino all’ultimo
istante, alle ore 2.00 della notte.
I pellegrini molfettesi sono ripartiti subito con i loro pullman, ma molti
devoti confratelli della Morte sono rimasti a lavorare, dopo la fatica
sostenuta, per reimballare tutto e caricarlo sul camion.
Al di là della cronaca dei fatti, sarebbe bellissimo poter entrare
nell’intimo di ciò che hanno provato i 1.500 molfettesi che hanno attraversato
le strade della Città Santa al seguito di questo bellissimo pellegrinaggio, che
è stato veramente penitenziale, a cominciare dalla fatica fisica
nell’affrontare il viaggio e la processione, per finire allo spirito con cui, e
lo dico con cognizione di causa, si è partecipato. Non è stata affatto una
sfilata a suon di marce funebri, ma un grande gesto di amore verso la Madonna ed
il suo Divin Figliolo. Non è stata una prova di forza per dimostrare che
l’Arciconfraternita della Morte è meglio di altre, ma la esteriorizzazione di
quel grande legame dei confratelli della Morte con la Madonna Addolorata, al
cui fianco si sentono protetti come i bambini dalla loro mamma.
Il concepimento del pellegrinaggio a Roma con la statua della Pietà, la
organizzazione capillare ed il coinvolgimento di tante Autorità romane civili e
religiose, si devono senz’altro agli attuali Amministratori
dell’Arciconfraternita della Morte e all’aiuto offerto dal confratello dott.
Vito Cozzoli, colà residente.
La buona riuscita di tutto, invece, si deve all’entusiasmo e al buon senso
dei confratelli, portatori e non, all’affetto verso la nostra Arciconfraternita
da parte dei numerosi concittadini al seguito, ma soprattutto alla fede e
devozione con cui si è partecipato.
All’indomani di questo “onirico”
avvenimento, che ricorderemo per sempre e dal quale penso che siamo tutti
ritornati più buoni e “misericordiosi”, ci sono state le solite
polemiche disfattistiche da parte di chi non ha ancora compreso, e mai
comprenderà, la grande valenza di quella “sbarcata”
di molfettesi a Roma, che ha fatto conoscere al mondo intero uno degli aspetti
più belli della nostra Molfetta, non le continue dimissioni o gli omicidi dei
Sindaci, le macchine incendiate ogni quattro o cinque notti, l’abusivismo
ambulante diffuso e il dilagante non rispetto della legalità in tanti settori
della vita cittadina.
L’Arciconfraternita della Morte ha portato per le vie di Roma non solo la
sua testimonianza di fede, ma l’arte, la storia, la tradizione ed i sentimenti
di un popolo intero, che i numerosissimi turisti stranieri hanno ammirato ed
apprezzato, facendosi chissà prendere anche dalla voglia di venire a visitare
di persona i luoghi in cui si svolge fisiologicamente quella processione del
Sabato Santo, fedelmente riprodotta per le vie della Città Eterna.
Questo e non altro ha fatto l’Arciconfraternita della Morte, da 403 anni
operante nella città di Molfetta, davvero col cuore e, ripetiamolo ancora una
volta … con fede e devozione.
Tutto il resto è noia … come canterebbe
l’indimenticabile Franco Califano.
dott. Francesco Stanzione
dott. Francesco Stanzione