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ESSERE CONFRATELLI NEL TERZO MILLENNIO

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Incontro con gli Aspiranti Confratelli della Confraternita di S. Antonio
Molfetta, 7 maggio 2005

Prima di tutto, buona sera a tutti i presenti.
Devo sinceramente confessarvi che mai e poi mai avrei immaginato di poter essere proprio io il destinatario di un invito a relazionare su un argomento quale è la traccia che mi hanno fornito i vostri Amministratori: “Essere confratelli nel terzo millennio”.
Di questa considerazione nei confronti della mia persona voglio ringraziare l’ Amministrazione della Confraternita di Sant’ Antonio ed in particolare il Vostro Assistente Ecclesiastico don Nicola Azzollini che, a quanto riferitomi dall’ amico Domenico Pasculli, è stato proprio lui ad indicare me quale relatore di questo argomento.
Narcisisticamente sarei portato a pensare che motivo di tale considerazione sia la stima nei miei confronti, ma credo che effettivamente sia stato preponderante in tale scelta il fatto che il sottoscritto sia il Priore dell’ Arciconfraternita della Morte, e di conseguenza si vuole sentire il pensiero del Priore della Morte al riguardo.
In questo caso sono ancora più lusingato, proprio in virtù del mio grande legame affettivo all’ Arciconfraternita della Morte, che mi onoro di rappresentare; ragione per la quale cercherò di dare il meglio di me nella esposizione di quanto sto per dire, per non deludere le aspettative di chi mi ha invitato e per onorare la carica che ricopro in seno alla mia Arciconfraternita.
In ogni caso mi fa sempre piacere essere tra gli amici della Confraternita di Sant’ Antonio, che stimo ed ammiro particolarmente da diverso tempo per la loro maniera, scusatemi la battuta, di “essere confratelli in questo terzo millennio”.
Al di là però di quanto lusinghiero sia per me aver ricevuto il vostro invito, devo prendere atto invece che il compito che mi avete dato è piuttosto delicato.
Qui non si tratta di parlare dell’ argomento all’ ordine del giorno con chi è già addentrato nelle questioni confraternali, con quelli cioè che potremmo chiamare i veterani di una confraternita, di questa confraternita di Sant’ Antonio in particolare.
Qui si tratta di tracciare delle linee guida sul modo di intendere l’ essere confratello al mondo d’oggi, a persone che ancora devono diventarlo.
Da qui la delicatezza del compito, perché infatti devo cercare di illustrare a voi che vi apprestate a divenire parte integrante di questo tessuto confraternale, quello che vi aspetta e che per certi versi dovete osservare, ma il tutto devo dirvelo in maniera incisiva e credibile, il che non è cosa facile, anche perché poi, in seguito, vi scontrerete a volte (siamo realisti su questo) con una realtà e con una prassi che non sempre rispondono a quegli obiettivi che sto per illustrarvi.
Addirittura io dico che ci saranno delle occasioni in cui forse, dico forse, potrete anche rimanere in una situazione di confusione, in quanto le aspettative che avevate prima di entrare a far parte della confraternita, potranno essere deluse.
Devo comunque dire, per ragioni di giustizia e di obiettività, che questa confraternita di Sant’ Antonio in particolare, ha già svolto da oltre una decina di anni, un grosso lavoro per poter divenire una realtà in linea con quelli che sono i principi alla base dell’essere confraternita.
Spero anche io, nel mio Sodalizio, di portare un po’ di Sant’Antonio, nella prassi, naturalmente! Comunque ho già iniziato in tal senso.

Io penso che non si possa parlare di quello che può significare essere confratelli nel terzo millennio, senza prima fare un veloce excursus di carattere storico su come e quando le confraternite sono sorte. Io poi, in particolare, sono uno di quelli profondamente convinti del fatto che non si può affrontare il futuro, senza conoscere il passato.
Nel caso poi delle confraternite, a maggior ragione questo ha la sua importanza, proprio in virtù del glorioso passato che queste nostre istituzioni hanno alle loro spalle.
E diciamo quindi che gli storici sono concordi nel ritenere il medioevo la data di origine del fenomeno confraternale propriamente detto, anche se non è sempre chiara la distinzione tra Confraternite e altre forme di aggregazioni laicali. Abbiamo notizie di aggregazioni laicali in tutta Europa già dal decimo secolo.
Nel tredicesimo secolo le confraternite si erano diffuse ovunque: in Francia, Inghilterra, Spagna, Germania e Italia divenendo l’ alveo naturale nel quale si incanalò la vita spirituale dei laici devoti e di fatto salvarono la Chiesa dalla divulgazione della eresia. Nello stesso tempo costituirono un vero e proprio tessuto connettivo nel corpo sociale.
Le Confraternite si moltiplicarono e si raggrupparono per lo più in tre grandi famiglie.
C’ erano le Confraternite di Mestiere, le quali univano attorno al culto del Santo Patrono i membri di una stessa professione. Esse erano nello stesso tempo luogo di festa e centri di mutuo soccorso.
Pensate ad esempio alle varie confraternite di Molfetta; anche se di tutte non conosco quali erano i ceti che le rappresentavano nel passato, posso senza smentita dire che, ad esempio, la confraternita dell’ Assunta che ha sede presso la chiesa di San Gennaro, era rappresentata soprattutto da contadini.
Marinai, invece, erano per la maggior parte gli aderenti alla confraternita della Madonna del Carmine, con sede nella chiesa di San Pietro, poco distante da qui.
L’ Arciconfraternita della Morte era fatta per lo più da artigiani, come si evince anche dall’elenco dei Priori, in cui i nomi dei primi priori sono preceduti dal titolo che ne contraddistingueva il mestiere, tipo proprio il primo priore, mastro Simino da Messina, nel 1613.
C’erano poi le Confraternite di Devozione, in cui generalmente sotto la protezione del Clero o degli Ordini Religiosi, si raccoglievano tutti coloro che erano attratti da una stessa forma di pietà, come per esempio il culto alla Eucaristia o al Rosario.
C’ erano infine le Confraternite di Penitenti, che inizialmente si orientarono per lo più verso azioni concrete come la lotta all’ eresia; in seguito svilupparono un’ azione caritativa come l’ assistenza negli ospedali o al momento della morte.
Le opere di misericordia quindi, divengono uno dei cardini dell’ azione confraternale; e sono proprio queste associazioni che, nel medioevo, aggiungono alle sei opere di misericordia corporale, la settima: la sepoltura dei morti.
L’ Arciconfraternita della Morte, sorta nel 1613 e da me attualmente rappresentata, è proprio una di queste ultime confraternite, essendo sorta allo scopo di dare sepoltura ai morti poveri, che infatti venivano sepolti proprio nella Chiesetta della Morte.
Insomma il solidarismo e la carità verso il prossimo erano per queste confraternite il principale obiettivo.
Ma solidarismo e carità si manifestavano nelle forme più disparate. Tanto per riferirne in concreto alcune diciamo che c’ erano confraternite che si occupavano di assicurare la dote alle ragazze di famiglie indigenti; altre che pensavano ad assicurare le cure mediche a chi non aveva soldi per comprare le medicine (una di queste si dice che possa essere stata proprio l’ Arciconfraternita di Santo Stefano, composta da religiosi e da medici).
Ho sentito tra l’ altro, proprio alcuni giorni fa, o meglio ho sentito prendendo visione di un DVD, di una confraternita di Sassari i cui iscritti si umiliavano chiedendo per le strade le elemosine per aiutare le famiglie di coloro che erano stati giustiziati per impiccagione.
C’ erano poi quelle confraternite che avevano lo scopo di fare penitenza con pratiche quali la mortificazione del proprio corpo mediante la flagellazione.
E proprio queste confraternite sono state quelle che svolgevano parte da protagonista durante la Settimana Santa, inserendosi a volte, anche indesideratamente da parte della Chiesa, nei Riti e durante le Liturgie della Passione di Cristo.
Tenete conto del fatto che ancora oggi vi sono luoghi del meridione d’ Italia in cui certe pratiche sono ancora in uso, anche se da parte di gente che aderisce a confraternite non riconosciute ufficialmente dalla Chiesa.
A Guardia Sanframondi, in provincia di Benevento, ad esempio, nel giorno dell’ Assunta, ogni sette anni, una confraternita detta “dei vattienti”, in camice bianco e cappuccio calato sul volto, svolge al seguito della processione della Madonna, una pratica che consiste nel colpirsi il petto nudo, fino a farlo sanguinare, con una tavoletta rotonda di sughero su cui sono incollati chiodi e frammenti di vetro.
Idem, durante la processione della Pietà, a Nocera Tirinese, in Calabria ; questa pratica si ripete in maniera ancora più cruenta, perché ci sono dei confratelli che, con sistema simile a quello descritto, si colpiscono le gambe fino a farle sanguinare abbondantemente, disinfettandosi poi con delle spugne bagnate nell’ aceto, che oltre che a disinfettare, ha lo scopo di non far chiudere le ferite, in modo da provocare ancor più la fuoriuscita di sangue. Sentivo dire tra l’ altro in un documentario, che in quel giorno della processione della Pietà, il paese è totalmente invaso da un acre odore di sangue ed aceto e se considerate che i “vattienti” di Nocera Tirinese sono ancora un centinaio, immaginate quale possa essere la situazione.
Sembrano cose inconcepibili, ma nella prassi di alcune comunità, questi gesti sono ancora vivi e sentiti, anche se per noi molfettesi la cosa può sembrare davvero fuori da ogni immaginazione.
Riprendiamo però il discorso un po’ più puramente storico.
I secoli trascorrevano e le Confraternite si sono trovate a dover affrontare sempre nuove realtà ma, diciamolo pure, si sono sempre adattate alle nuove realtà, proprio perché formate da laici, che vivevano la loro quotidianità e portavano in seno alla confraternita tutto il loro bagaglio di esperienza, le loro aspettative e le loro speranze. In parole povere le confraternite non sono mai state composte da gente che viveva al di fuori della realtà; e a questo si deve anche il perdurare della loro vita e della loro vitalità, nonostante la sferza implacabile del tempo.
Proprio tra il 1600 ed il 1700, quando tra l’ altro sono sorte quasi tutte le Confraternite della nostra Molfetta, le Confraternite costituivano una rete associativa parallela alla struttura parrocchiale, ma di essa più potente sia per il numero degli aderenti, tutti militanti, quindi né passivi, né occasionali, sia per il loro potere sociale ed economico. Esse sopperivano a quei bisogni religiosi che non trovavano adeguata soddisfazione nelle strutture parrocchiali.
Con questo e quanto sto per dire, spero di non apparire in controtendenza con quelle che sono le direttive pastorali del Vescovo di questa Diocesi, il quale vorrebbe la Confraternita svolgere maggiormente la sua azione nell’ ambito della Parrocchia in cui ha sede, ma effettivamente a quei tempi succedeva un po’ quello che succede ancora oggi. Cioè le parrocchie a volte non riescono a rispondere alle attese di tutti e, alcuni di quei tutti trovano il loro approdo proprio nelle confraternite.
Ciò ho detto non per polemica, ma esclusivamente per citare quello che incontrovertibilmente è un dato di fatto.
Per dovere di completezza, devo anche dire che grandissimo è sempre stato il ruolo in campo culturale delle confraternite, nel tramandare usi e costumi popolari che sarebbero, senza questi gelosi custodi, andati persi o dimenticati.

Fatto quindi questo doveroso accenno storico, indispensabile per capire in quale contesto siano nate le Confraternite, passiamo all’argomento vero e proprio della nostra, spero fino ad ora, non noiosa disquisizione.

Carissimi amici della Confraternita di Sant’ Antonio, entriamo nel merito di quello che deve significare essere confratelli nel terzo millennio.
Notate bene: ho detto “quello che deve significare essere confratelli” e non “quello che per me significa essere confratelli” nel terzo millennio.
Perché questa precisazione?
Per il motivo semplicissimo che secondo i nostri Statuti “la Confraternita è una associazione pubblica di fedeli”, e quindi essa è automaticamente ed indiscutibilmente tessuto stesso della Chiesa; anzi è Chiesa a tutti gli effetti, per cui le sue prerogative sono universali e valide per tutti, indipendentemente dal luogo in cui si trova e dalle persone che la rappresentano o ne fanno parte.
Se qualcuno attribuisce ad una Confraternita una prassi ed una sostanza diversa da quello che è la Chiesa, vuol dire solo due cose: o che quel qualcuno ha sbagliato associazione umana a cui aderire, oppure che se una confraternita agisce non in sintonia con la Chiesa, è fuori dalla Chiesa stessa.
Potrebbe sembrare il mio discorso un po’ integralista o forse più da Assistente Ecclesiastico che da Priore o da laico in genere, ma se ci pensate bene le cose stanno proprio così.
Nel momento in cui è stabilito che la Confraternita è Chiesa, il Priore di essa è il capo di una comunità religiosa e non di una qualsiasi associazione o di un circolo o di un partito politico; di conseguenza il suo fare ed il suo dire devono convergere con quanto stabilito dalla Chiesa.
Ecco perché, essendo io Priore di una confraternita, devo assolutamente parlare così.

Riprendiamo quindi il discorso interrotto con la mia considerazione. All'inizio del terzo millennio, in una società multirazziale e a cultura sovra-nazionale, nell'era della tecnologia sempre più sofisticata, della posta elettronica, della realtà virtuale, della globalizzazione generalizzata, ha ancora senso approfondire e promuovere il sentire religioso e, soprattutto, hanno attualità e futuro le Confraternite?
La risposta, anche se potrebbe sembrare difficile, in realtà è semplice.
La Confraternita può risultare ancora attuale ed utile purché, in ideale continuità con i tanti meriti della sua storia, ridisegni il suo impegno in funzione di una realtà socio-culturale che ha subìto capovolgimenti planetari, in tema di relazioni umane e di tensione etica orientata al senso del bene comune. La Confraternita può risultare elemento determinante nella guerra contro le numerose nuove povertà e le droghe che assediano la nostra modernità: ingiustizia, assenteismo, indifferenza, sopraffazione, edonismo, riaprendosi al dovere dell' accoglienza ed alla cultura della gratuità.
Dopo questa ulteriore premessa provo a rispondere alla domanda: “cosa significa allora essere confratelli nel terzo millennio?”.
Cercherò di rispondere facendovi un’ altra domanda: pensate forse che essere confratelli in questo che chiamiamo terzo millennio sia diverso che esserlo stato cinquant’ anni fa, o due secoli fa, nel 1800, o quattro secoli fa, nel 1600?
Orbene io non so esattamente quando la Confraternita di Sant’ Antonio sia stata fondata, anche se presumo nella prima metà del 1600, ma sicuramente lo spirito che ha mosso i vostri predecessori non è diverso da quello che è lo spirito con cui si deve aderire oggi ad una confraternita e quindi allo spirito con cui si vuole manifestare il proprio essere Chiesa.
Ne sono certo.
Dobbiamo riflettere quindi su due aspetti che definirei, mi si passi il termine, “paralleli”… come operavano le confraternite nel passato… come operano adesso…
Come operavano nel passato lo abbiamo detto.

Siamo nel terzo millennio e possiamo sicuramente affermare che ancora Fede e Carità sono le linee guida di questi nostri antichi sodalizi, anche se col passare del tempo l’ aspetto caritativo e di solidarietà è stato un po’ superato dall’ aspetto devozionale che a volte può anche trascendere in consuetudini fuori dalla ortodossia.
Tocca comunque sempre ai responsabili delle confraternite vigilare affinché quelle che da molti vengono chiamate tradizioni e che in realtà sono solo usanze, non prendano il sopravvento su quella che è invece la Tradizione della Chiesa.
Cosa è, vi chiederete, la Tradizione della Chiesa?
Questo è un argomento così complesso che non con le mie, ma con parole mutuate da altri più competenti di me, andrò a definire. Cosa è quella che i Padri, i Dottori e i Teologi della fede chiamano Tradizione ?
Cito quindi le parole di Sua Eccellenza monsignor Carlo Caffarra, Arcivescovo Metropolita di Bologna e già Arcivescovo di Ferrara-Comacchio.
La parola Tradizione connota in primo luogo l’evento che sta all’origine di tutta la vita della Chiesa: “Dio ha tanto amato il mondo da donare il suo Figlio unigenito” (Gv 3,16); “... nella fede del Figlio di Dio che mi ha amato ed ha dato se stesso per me” (Gal 2,20). E’ questo incredibile fatto, l’auto-consegna (tradidit - traditio) del Figlio unigenito all’uomo, la sorgente non solo iniziale ma unica, continuamente zampillante, poiché sempre eucaristicamente presente di tutta la vita della Chiesa. Ecco perché al principio del Cristianesimo non sta un libro: sta una Persona che si dona in un atto di amore quo maior cogitari nequit. Ecco perché al principio sta l’Eucarestia che di quell’atto è la presenza permanente: “fate questo in memoria di me”. Ma come ogni proposta di amore, anche questa non raggiunge la sua piena realizzazione se non è accolta, se non è consentita. L’Evento originario si compie nell’accoglienza che ne fa la prima comunità: la comunità mariana apostolica.
Ciò che in questo incontro originario è accaduto, “ciò che avevano ricevuto dalla bocca di Cristo vivendo con Lui e guardandolo agire ... ciò che avevano imparato dai suggerimenti dello Spirito Santo” gli Apostoli lo trasmisero: è la TRADIZIONE APOSTOLICA, che è espressa in modo speciale nei libri ispirati. E’ questo il tesoro più prezioso della Chiesa: ciò di cui essa vive. La fede e la vita della Chiesa rimarrà per sempre la viva eco suscitata dalla Tradizione apostolica. Ciò che fu trasmesso dagli Apostoli, poi, comprende tutto quanto contribuisce alla condotta santa del popolo di Dio e all’incremento della fede; così la Chiesa nella sua dottrina, nella sua vita e nel suo culto, perpetua e trasmette a tutte le generazioni tutto ciò che essa è, tutto ciò che essa crede: è la TRADIZIONE ECCLESIASTICA. Essa è quello stesso Evento di donazione che fu accolto da Maria e dagli Apostoli per mezzo dello Spirito Santo, e che dagli apostoli fu trasmesso alle comunità dei credenti, diffondendosi sempre più lungo i secoli in ogni luogo. Dentro a questo fiume noi siamo immersi; fuori di esso noi moriamo. Essa non è solo insegnamento: è nella sua sostanza vivente comunicazione di esperienza.

Ecco come il grande Moehler la descrive:
“La Chiesa è il corpo del Signore, nel proprio insieme la sua figura visibile, la sua umanità permanente e sempre ringiovanentesi, la sua rivelazione eterna; egli risiede tutto nel tutto, al tutto ha lasciato le sue promesse, i suoi doni, a nessun individuo per sé solo dopo il tempo degli apostoli. Questa comprensione complessiva, questa coscienza ecclesiale è la tradizione nel senso soggettivo del termine. Che cos’è dunque la tradizione? Il senso cristiano specifico presente nella Chiesa e propagantesi attraverso l’educazione ecclesiale, senso che non va tuttavia pensato senza il suo contenuto, ma che si è piuttosto formato con esso e per mezzo di esso, si da meritare il nome di senso compiuto. La tradizione è la parola ininterrottamente vivente nel cuore dei credenti. A tale senso quale senso complessivo è affidata la spiegazione della Sacra Scrittura: la spiegazione da esso data in materia discussa è il giudizio della Chiesa, e la Chiesa è pertanto giudice in materia di fede. La tradizione in senso oggettivo è la fede complessiva della Chiesa espressa nelle testimonianze storiche esterne lungo i secoli”.

Spero che sia chiaro allora cosa significa quando parliamo di Tradizione, nel senso di Tradizione della Chiesa, e quando parliamo di tradizioni; queste ultime sono l’ insieme di tutte le pratiche in uso nella confraternita, legate ai modi espressivi della fede e che pertanto hanno un carattere transeunte, per dirla con le parole del nostro Vescovo, in occasione del Convegno “Confraternite tra storia e futuro” svoltosi a Giovinazzo lo scorso anno.

Dunque i punti cardine dell’ attività confraternale, dopo quasi un millennio, sono: Fede e Carità.
A conferma di quanto vi sto dicendo, voglio citarvi alla lettera il testo di una intervista fatta al Cardinale Tarcisio Bertone, Arcivescovo di Genova, in occasione dell’ ultimo Cammino di Fraternità delle Confraternite delle Diocesi d’ Italia, svoltosi lo scorso anno proprio a Genova.

DOMANDA: “Eminenza, le Confraternite camminano nella Chiesa e per conto della Chiesa; sono state mandate nella Società per operare secondo i principi di Fede e Carità.
In questo senso dove vanno le Confraternite nel terzo millennio? Quale futuro?”
RISPOSTA: “E’ il futuro dei loro antichi Statuti, perché le finalità sono, dico la parola, inossidabili; le finalità delle Confraternite rappresentano un progetto di vita di estrema attualità.
Cioè: testimoniare visibilmente e pubblicamente, senza paura, la fede cristiana, ma nello stesso tempo testimoniare la fraternità e la carità nella Società, verso le persone più bisognose.
Credo che questo sia un impegno, un’ esperienza, che può ravvivare la speranza nella nostra società così confusa, oggi a volte così delusa per tanti segni negativi.”

Queste le parole espresse dal Cardinale Tarcisio Bertone che, come avete sentito, concettualmente confermano anche quello che vi ho detto all’inizio, quando ho posto il quesito: pensate forse che essere confratelli nel terzo millennio sia diverso che esserlo stato nel passato? … ed aggiungo ora, pensate che in futuro sarà diverso? Certo che no, dal punto di vista sostanziale, e ciò proprio in virtù di quella menzionata inossidabilità dei principi sanciti nei nostri Statuti, che si rifanno alla Fede ed alla Carità.

Semmai diverso sarà il modo di manifestare la propria fede e diversi saranno i soggetti verso cui si rivolgerà l’ azione di carità.
Non è più pensabile infatti che ci si dedichi alla sepoltura dei morti poveri o a dotare le fanciulle povere in età da marito, come dicevo precedentemente di alcune confraternite del passato.
Insomma, come penso che sia stato chiaro fin dall’ inizio di questa mia conversazione, essere confratelli nel terzo millennio, equivale semplicemente ad osservare quei pochi ma ferrei dettati che sono sanciti all’ inizio degli Statuti di tutte le Confraternite, quali ad esempio: condurre vita esemplarmente cristiana, dare testimonianza della propria fede ecc.
Andiamo dalla teoria alla pratica; nessuno ci obbliga ad essere confratelli, quindi se non si vuole condurre vita esemplarmente cristiana si può benissimo fare a meno di iscriversi ad una confraternita, ma se si fa questo passo, quello che si è fatto diventa un impegno, soprattutto perché bisogna dare testimonianza agli altri della propria fede.
Oggi soprattutto, che paradossalmente i cattolici subiscono quotidianamente una vera e propria persecuzione da parte dei mass media e di quanti vogliono livellare ed annullare tutti i valori umani per propri interessi politici ed economici, proprio oggi il confratello ha il dovere di dare testimonianza con la propria coerenza di vita.
Il Confratello, in quanto battezzato e soprattutto cresimato, ha il dovere di opporre al non credente o a chi la fede l’ha persa, la propria fede e deve combattere attivamente affinché alla fede Cristiana non venga fatta offesa da nessuno. Deve essere quindi un vero e proprio soldato di Cristo e paladino della fede.
Oggi il cristiano ed il confratello, devono fare anche i conti con una mutata realtà che vede molti allontanarsi dalla fede nella Chiesa per andare verso forme pseudo religiose quali i testimoni di Geova o altre sette ancora. Se non si è coerenti nella propria fede e non la si manifesta soprattutto senza paura a queste persone, come si potrà essere strumenti di conversione?
A questo proposito voglio fare un breve cenno alle nostre manifestazioni esterne; mi riferisco alle processioni.
Cosa è la processione? La processione è un corteo di fedeli che percorre un cammino dietro la croce, per testimoniare pubblicamente la propria fede. Ma se questa fede si ha la pretesa di manifestarla in maniera poco seria e poco credibile, e non voglio entrare comunque nel merito delle degenerazioni che tante volte vi sono anche durante le nostre processioni, che testimonianza si darà agli altri, soprattutto a quelli che credono poco o non credono affatto?
Quando invece la manifestazione esterna è preceduta da una adeguata preparazione, quale la partecipazione ad una efficace catechesi o ad azioni liturgiche con l’accostamento al sacramento dell’Eucarestia, allora la propria presenza ad una processione, può davvero diventare motivo agli altri di edificazione e conversione.
Tutto questo presuppone un cammino continuo da svolgersi nell’ arco di tutto un anno e a questo sono chiamati ad esprimersi in sinergia le Amministrazioni della Confraternita e l’ Assistente Ecclesiastico.
Essi devono essere il motore propulsore che deve trascinare gli iscritti e che, oltre che stimolarne la presenza alle varie occasioni di incontro in seno al sodalizio, devono sforzarsi di trasmettere ad essi l’ entusiasmo necessario per una presenza attiva nel sodalizio stesso.
Sono queste tutte cose facili a dirsi, ma nella pratica, molto spesso , le cose vanno diversamente, come lo stesso don Nicola può dire ripensando a quella che era la situazione nella mia Arciconfraternita, ai tempi in cui egli ne era l’ Assistente Ecclesiastico.
Fortunatamente quanto da me auspicato, in Sant’ Antonio è già realizzato, come ho detto prima, da molti anni; prova ne è anche l’ incontro con voi di questa sera.
Infatti, indipendentemente da quanto possa aver detto il sottoscritto, è un fatto molto positivo che prima dell’ ingresso nella confraternita, l’ aspirante confratello compia un percorso formativo che lo renda pienamente cosciente di quello che sta per fare, o meglio ancora, diventare.
Voi qui presenti, che siete aspiranti confratelli nel nome di Sant’ Antonio, siete certamente più fortunati di tantissimi altri entrati in questa confraternita molti anni prima di voi. Certamente questi sono confratelli a tutti gli effetti, ma quanti tra essi hanno la piena consapevolezza del peso, sì diciamo pure del peso, della responsabilità di cui ci si fa carico verso Dio e verso il prossimo, nel momento in cui si pronunzia il proprio impegno al momento della vestizione?

Detto questo, cos’ altro aggiungere? Chi vi ha parlato fino ad ora non è certamente una persona dotta nel campo della Chiesa, non essendo uno che ha compiuto studi approfonditi in campo teologico, e diciamolo pure confraternale; comunque ho sempre avuto il cuore in queste cose.
Non ho mai tenuto conferenze o discorsi in pubblico, a parte le mie “Relazioni del Priore”, in occasione delle assemblee dell’ Arciconfraternita della Morte; questa è stata la mia prima esperienza in tal senso… e penso probabilmente l’ ultima dopo questa sera, vista la probabile insufficienza con cui mi sono espresso.
Di questo non è colpa mia; questo sono e questo so dire ed in questo modo so dirlo.
La colpa semmai è di chi mi ha invitato, che doveva sapere già quello a cui andava incontro.
In conclusione: grazie davvero del cortese invito, grazie davvero per il paziente ascolto e tantissimi auguri ai nuovi confratelli di Sant’ Antonio, affinché attraverso il suo esempio, possano essere un autentico modello di confratelli. Ecco, se Sant’ Antonio fosse vissuto oggi, sarebbe stato perfettamente in linea con quello che significa essere confratelli nel terzo millennio. Ma Sant’ Antonio è vissuto tanti secoli fa, mi direte; questa allora è la dimostrazione che è vero quello che ho con tanti giri di parole cercato di far capire: cioè che lo spirito di vita confraternale, illuminato dalla luce della Tradizione della Chiesa, è immutabile nei secoli.
Di nuovo tantissimi auguri a tutti voi aspiranti confratelli.

-------------------------- Francesco Stanzione - Priore Arciconfraternita della Morte
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