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U TI-TE' D NE VOLT

  
"QUINDICI ONLINE" del 26  marzo 2021

Articolo del dott. Francesco Stanzione


Ove dovessi ritornare, con la memoria, alle primissime cose che ho visto o sentito da bambino e che costituiscono i miei ricordi più atavici, posso dire che sicuramente il
"ti-tè" è uno di questi.

Sono nato infatti, e vi ho abitato fino all'età di cinque anni,  in casa dei miei nonni materni, sulla muraglia, ad una distanza di circa cento metri dalla Chiesa del Purgatorio ed è stato quindi inevitabile che nei momenti "topici" della Settimana Santa io sentissi da casa, appena iniziava, il rullo del tamburo, scandito dai colpi della grancassa, accompagnati dal lamento del flauto, che sfociano in quegli squilli di tromba costituenti onomatopeicamente il cosiddetto "ti-te" che conferisce poi il nome a tutta l'esecuzione musicale; mi riferisco agli anni compresi tra il 1955 ed il 1960.

Successivamente, quando i miei genitori da via Amente si sono trasferiti in via Muscati, ai tempi della scuola elementare mia nonna mi telefonava ogni Venerdì di Passione, verso le ore 14.00, per avvisarmi che il "ti-tè" era iniziato ed io quindi, di corsa, raggiungevo il Borgo in attesa della processione dell'Addolorata.

Nell'ascoltare da vicino la Bassa Musica che eseguiva il "ti-tè", di fianco alla Chiesa del Purgatorio in quelle ore pomeridiane, prima della tanto attesa uscita della Madonna, si creava una atmosfera tra il mistico e l'onirico e i colpi della grancassa ti squarciavano letteralmente il corpo e penetravano l'anima; sembravano quasi dei pugni dati in petto, tanto erano cupi, leniti però dalla dolcezza delle note del flauto che invece tendevano a farti quasi librare dal suolo; tutto era interrotto dagli squilli della tromba che, molte volte lanciati un po' "spernacchiando", rendevano il tutto di una poesia indescrivibile.

Da allora ad oggi però, quel motivo orientaleggiante eseguito dal flauto ha subìto nel tempo qualche variazione, piccola o insignificante per molti, soprattutto per quelli più giovani, ma senz'altro abbastanza rilevante per chi, come me (non mi vergogno a dirlo), è cresciuto a pane e Settimana Santa.

Ora io, non avendo studiato musica, non sono in grado di descrivere con termini tecnici le differenze tra quello che è stato il mio "imprinting" e la attuale esecuzione, posso però dire che il "ti-tè" di allora suscitava senz'altro più emozione, forse anche perché le membrane del tamburo e quelle della grancassa erano costituite da pelle animale (pélle d ciùcce) che conferiva un suono più cupo e penetrante.

Io stesso, ancora oggi, quando mi capita di fischiettare quel motivo eseguito dal flauto, non riesco a farlo diversamente da come l'ho sentito da bambino, perché nella mia mente c'è solo, a distanza di 65 anni, "u ti-tè d ne volt"

                                      dott. Francesco Stanzione

 


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"QUINDICI ONLINE"  del 26 marzo 2021