"L' Altra Molfetta" di marzo 2021
Articolo del dott. Francesco Stanzione
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L’attesa
cessa allorché alle ore 23.30 viene aperto parzialmente il portone della
chiesa, permettendo al pubblico di entrarvi.
L’interno
del tempio è immerso nella oscurità; le uniche fonti di luce sono i lumini che
sottendono alcune delle dodici “croci
della consacrazione” della chiesa, collocate perimetralmente in alto, ed un
unico raggio di luce concentrato sul volto di Gesù Cristo posto all’incrocio
dei bracci di una grande Croce nera, alle cui estremità sono dipinte anche le
mani e i piedi trafitti e sanguinanti del Redentore. A completare queste
simbologie vi sono anche, al centro, un cuore dal quale sgorgano “sangue ed acqua” (Giovanni 19,34) ed un teschio, emblema dell’Arciconfraternita
della Morte.
È questa la Croce che sta per essere portata in processione,
quella stessa Croce che dopo qualche altra settimana aprirà i cortei
processionali della Addolorata e della Pietà.
Ai lati
della Croce sono collocati due “fanali”
con all’interno altrettanti lumini accesi, uniche altre fonti di luce, che la
accompagneranno lungo il tragitto per le
vie della città.
Intanto,
quando manca appena un quarto d’ora a mezzanotte, la pubblica illuminazione
stradale viene spenta e tutto viene ancor più avvolto dal buio; i fari accesi
delle poche auto che a quell’ora transitano per la zona appaiono come elementi
di disturbo, ma una volta scomparsi accentuano ancor più l’atmosfera mistica
che si è venuta a creare.
Manca
ormai poco alla mezzanotte e il Priore dell’Arciconfraternita della Morte ed
suoi incaricati invitano i fedeli ad uscire dalla chiesa; contestualmente i
confratelli portatori della Croce e dei fanali si avvicinano al portone e si
fermano appena prima della soglia, in attesa dell’imminente e tanto atteso
momento.
I confratelli
indossano l’abito di rito dell’Arciconfraternita della Morte con il cappuccio
che non viene però calato a nascondere il volto.
A mezzanotte in
punto la Croce viene portata fuori, sostando sul sagrato della Chiesa del
Purgatorio, la cui piccola campana inizia a diffondere il primo di trentatre
mesti rintocchi, seguita dal campanone della vicinissima Cattedrale e da quella
di altre chiese di Molfetta.
Per tutta la durata
dei rintocchi la Croce è ferma, illuminata solo dai lumini collocati nei due
fanali; circa un migliaio sono coloro che, per fede, tradizione o anche
semplice curiosità, assistono al rito in assoluto silenzio.
L’ultimo dei
trentatre rintocchi è immediatamente seguito dal rullo di un tamburo che fa da
sottofondo al lamentevole motivo orientaleggiante di un flauto ed è
ritmicamente intervallato da colpi di grancassa; quando il flauto giunge alla
fine della sua melodia subentrano alcuni squilli di tromba, che costituiscono
quello che popolarmente viene chiamato il “ti-tè”,
termine che conferisce la denominazione a quanto eseguito dal quartetto di
musicanti.
Dopo il primo “ti-tè” la Croce viene issata ed inizia
così la processione, seguendo lo stesso itinerario che successivamente
percorreranno i sacri cortei della Settimana Santa, con due sole varianti: le
soste davanti alla Chiesa di S. Stefano ed al Calvario.
Alle
esecuzioni del “ti-tè” si alternano
la recita del S. Rosario ed il canto del “Vexilla”
da parte dei numerosi fedeli al seguito, incuranti della temperatura notturna
che, in alcuni anni, è particolarmente rigida. A volte nemmeno la pioggia
riesce a scoraggiare la partecipazione a questo rito che, anno dopo anno, vede
aumentare sempre più quanti vi assistono.
All’arrivo
della processione nei pressi di S. Stefano, la Croce viene fatta sostare,
rivolta verso i fedeli, davanti al portone della Chiesa che per l’occasione
viene aperto; dopo una breve preghiera segue il canto del “Vexilla”.
In vista
nuovamente della Chiesa del Purgatorio, si devia verso la villa comunale alla
volta del vicinissimo Calvario dalla cui scalinata il Padre Spirituale
dell’Arciconfraternita della Morte, dopo una breve omelia, impartisce la
benedizione finale.
A questo
punto il pubblico, numericamente molto inferiore a quello presente all’uscita,
si congeda dalla processione che, costituita ormai da uno sparuto gruppo di “fedelissimi”, raggiunge nuovamente la
Chiesa del Purgatorio nella quale la Croce rientra dopo la esecuzione di un
ultimo “ti-tè”.
Fin qui
la descrizione di questa processione, molto semplice quanto seguita da numerosi
fedeli.
Ma quali
sono le sue origini? Come si è evoluta nel tempo?
La
risposta a queste due domande, parte dalla realtà di fatto che non esiste alcun
documento al riguardo e che, fra tutte le processioni pasquali molfettesi, è
comunque la più recente come istituzione.
Infatti,
dai racconti raccolti dagli anziani, si suppone l’inizio di questa tradizione
tra la fine del 1800 ed i primi anni del 1900.
Non
solo, ma inizialmente non era nemmeno l’Arciconfraternita della Morte ad
organizzare la processione, che in fondo tale non era, ma consisteva in un
vagare per le vie della città, senza un itinerario ben preciso, al seguito di
una Croce (probabilmente la stessa dell’Arciconfraternita della Morte) da parte
di un gruppetto di persone che approfittava della circostanza per andare da una
casa all’altra dei vecchi Amministratori della Morte, ricevendo magari roba da
mangiare o un bicchiere li liquore o di vino.
Assolutamente
inesistente era ovviamente la presenza di un Sacerdote.
Fu
appena verso la fine degli anni quaranta del secolo scorso che, durante
l’Assemblea dei confratelli del 19 dicembre 1948, venne deliberato di prendere
in carico l’organizzazione della processione della Croce, da parte
dell’Arciconfraternita della Morte e di stabilire come itinerario fisso quello
delle processioni pasquali.
Consultando
infatti l’Archivio
dell’Arciconfraternita della Morte, si rileva dal verbale di quella Assemblea
che: “Chiede la parola il Confratello
Racanati Sergio: egli dice che deve provvedersi ad un serio provvedimento circa
l’uscita della Croce e del tamburo l’ultima sera di Carnevale, perché invece di
verificarsi un rito di devozione, si svolge alla pari di una vera baccanata. La
proposta è presa in buona considerazione, ed ottimo il consenso di tutti i
presenti, per cui si decide che detta tradizione venga eseguita, facendo però
l’itinerario che fa la Processione dei Misteri, senza tergiversare per andare a
trovare le case dei Priori e Componenti le Amministrazioni per accettare regali
in denaro o in natura”.
Conseguenzialmente
la Croce sarebbe uscita dalla Chiesa del Purgatorio e non più, come sino ad
allora, dalla casa del sacrestano che all’epoca corrispondeva al locale
attualmente adibito a segreteria dell’Arciconfraternita della Morte, in via
Nicolò Altamura civico 4.
Per un
po’ di anni a seguire, stando a quanto raccontava il vecchio sacrestano della
Chiesa del Purgatorio, Berardino Claudio, detto “Vardino”, la cattiva abitudine di andare questuando casa per casa
ai vecchi Amministratori dovette continuare; infatti riferiva “Vardino” che, quando fu Priore il prof.
Francesco Regina (anni 1955/57), in uno di questi la Croce fu fatta entrare nel
portone di casa sua (in via Gelso, nei pressi della farmacia Mastrorilli) e
lasciata in un angolo per permettere a chi la portava di salire sulla casa del
Priore per … “rifocillarsi”.
Fatto
sta che nel contempo, probabilmente per il freddo notturno e le diverse ore che
si era in giro, qualcuno pensò bene di lasciare nel portone qualche “ricordino” di natura organica, cosa che
fece infuriare il giorno successivo la moglie del Priore che, per il futuro,
decise che in quella occasione nessuno più sarebbe entrato in casa.
Stando
al racconto di “Vardino”, fu quella
l’ultima volta in cui la processione della Croce si svolse in maniera diversa
dalla attuale.
Da
allora poco è cambiato; l’unica differenza è che, mentre fino al 1975, il
quartetto dei musicanti suonava ininterrottamente per tutto il tragitto, da
quell’anno la musica è intervallata dalla recita delle poste del Rosario e dal
canto del “Vexilla Regis prodeunt”.
Solo
durante la prima metà degli anni sessanta, al posto del flauto, il motivo
orientaleggiante fu eseguito per qualche volta con il clarinetto, dai figli del
maestro Angelo Inglese, pur con una piccola “variante”.
Testo tratto da F. Stanzione, “De Passione Domini Nostri Jesu Christi secundum Melphictam”, Editrice L’Immagine, Molfetta 2015, Vol. II.