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L’ ARTE DELLA CARTAPESTA DI GIULIO COZZOLI NELLE STATUE DELL' ARCICONFRATERNITA DELLA MORTE

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“ARTIGIANI DELLA FEDE”
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5° Convegno Internazionale di Studi sulla
Cultura Popolare Religiosa
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Pulsano (TA), 16, 17 e 18 luglio 2010
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INTERVENTO DEL
DOTT. FRANCESCO STANZIONE
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L’ argomento che mi accingo ad illustrare è alquanto complesso.
Secondo infatti il tema di questo convegno “Artigiani della fede”, nonchè il titolo del mio intervento “L’ arte della cartapesta di Giulio Cozzoli attraverso le Statue dell’ Arciconfraternita della Morte”, è facile immaginare che oggetto della conversazione siano delle comuni statue in cartapesta, opera di un qualche pur valente artigiano.
Niente di tutto questo.
Per i motivi dei quali vi renderete conto nel corso di questo mio intervento, le statue in cartapesta dell’ Arciconfraternita della Morte non sono né delle statue qualsiasi, né il loro autore, il maestro prof. Giulio Cozzoli, può essere considerato un artigiano, perché effettivamente tale non è, in virtù della sua da sempre riconosciuta arte che va ben al di là della realizzazione di una serie di immagini processionali.
Prima di addentrarmi nel dettaglio della illustrazione delle singole statue, ritengo indispensabile delineare un profilo biografico, purtroppo in maniera succinta, penalizzante della importanza del personaggio, ma essenziale per inquadrarne la personalità ed il valore.

Giulio Cozzoli nasce a Molfetta il 5 maggio 1882 da Maurangelo ed Elisabetta Daliani Poli e muore, sempre a Molfetta, il 15 febbraio 1957.
L’ indirizzo alla carriera artistica di Giulio Cozzoli si deve al padre, maestro scalpellino, il quale nota subito il talento del figlio e lo affida al prof. Michele Romano, pittore molfettese di una certa levatura e con grandissima esperienza nell’ insegnamento.
Da questi Giulio Cozzoli riceve le prime nozioni di disegno nel quale fa da subito grandi progressi, proprio grazie alle sue regole ed insegnamenti.
Nel 1892, a soli 10 anni, il giovanissimo Giulio realizza un busto in gesso che ritrae il padre a grandezza naturale, cosa che due anni più tardi viene notata dal noto scultore molfettese Filippo Cifariello il quale, immediatamente, si convince delle capacità di questo oramai dodicenne, facendolo suo allievo e portandolo con se a Roma; qui egli compie quella esperienza che gli aprirà per sempre la mente ai vasti orizzonti dell’ arte, radicando in lui la convinzione di voler sopportare qualsiasi sacrificio, pur di diventare un artista.
Ancora dopo due anni, quattordicenne, al seguito del maestro Cifariello, incaricato della direzione di una fabbrica di ceramiche, Giulio Cozzoli si trasferisce a Passau, in Baviera, dove lavorerà per quattro anni perfezionandosi nella modellazione di soggetti femminili.
Diciottenne, nel 1900 si trasferisce a Monaco dove impianta un piccolo studio e partecipa con alcuni suoi lavori ad una mostra locale annuale; qui viene notato ed apprezzato dalla stampa, ricevendone i consensi.
Ormai ventenne, nel 1902 ritorna in Italia per il servizio militare che presta a Firenze, dove rafforza la sua preparazione frequentando la Scuola del Nudo all' Accademia delle Belle Arti.
Terminato il servizio militare, Giulio Cozzoli ritorna a Roma nel 1904, chiamato sempre da Filippo Cifariello, ma le vicende giudiziarie che coinvolgono il Maestro lo costringono a tornare l’ anno successivo a Molfetta, dove inizia a realizzare diversi busti e medaglioni su commissione.
Siamo nel 1906, punto di inizio di quel cinquantennio in cui il nostro grande artista realizza tutte le statue in cartapesta che annualmente vengono portate in processione, durante la Settimana Santa, dall’ Arciconfraternita della Morte.
Realizzate fino al 1908 le prime due statue, la Veronica ed il Cristo Morto della Pietà (ma di ciò ne riparleremo tra poco), Giulio Cozzoli si stabilisce nuovamente a Roma, riscuotendo successi presso l' Accademia dei Virtuosi al Pantheon e l' Accademia di San Luca.
Ritorna a Molfetta nel 1911 a causa di lutti e vicissitudini familiari e qui continua la sua attività fino allo scoppio della Prima Guerra Mondiale a cui viene chiamato nel 1915, prestando servizio prima a Chieti e poi nelle Marche, a Servigliano. Anche in questa occasione Giulio Cozzoli si esprime artisticamente realizzando medaglioni, busti ed una grande targa in onore dei Caduti per la caserma di Chieti.
Al termine della guerra si stabilisce definitivamente a Molfetta ed apre un suo studio nel Palazzo Cappelluti dove inizia quel periodo di instancabile lavoro e di prolifera produzione artistica che porterà avanti fino all’ ultimo giorno della sua vita che termina, come già detto, nella notte del 15 febbraio 1957.
Questa, in breve, la biografia di questo grande artista.

Come anticipato, da queste pur sintetiche note si capisce subito che non si è in presenza di un qualsiasi artigiano statuario, bensì di un vero e proprio artista ed aggiungo … di grandissimo talento.
E veniamo ora a parlare delle sue opere in cartapesta: le statue della Passione che vengono portate in processione dall’ Arciconfraternita della Morte durante la Settimana Santa molfettese.
Esse sono in tutto otto, meglio ancora sette più una, l’ Addolorata, in quanto quest’ ultima esce da sola il Venerdì di Passione, antecedente quindi la Domenica delle Palme. Le altre sette escono tutte insieme il Sabato Santo, costituendo quella che popolarmente a Molfetta viene chiamata la processione della Pietà.
Le nomino ora in ordine di uscita in processione.
Abbiamo per primo S. Pietro, poi la Veronica, S. Maria Cleofe, S. Maria Salomè, S. Maria Maddalena, S. Giovanni ed infine la Pietà. A parte poi, come già detto, la venerata immagine di Maria SS. Addolorata.
Sono state realizzate nell’ arco di un cinquantennio che va dal 1906 al 1956, un anno prima della sua morte, rispondendo da una parte all’ esigenza della Arciconfraternita della Morte di rinnovare le proprie vecchie statue processionali, di scarso valore artistico ed ormai deteriorate dal tempo, e dall’ altra di rispondere al suo grande desiderio di realizzare una serie di statue che in maniera completa rappresentassero, per le vie di Molfetta, durante il Sabato Santo, il dramma della Passione di Nostro Signore Gesù Cristo.
Ritengo anzi che, non essendo Giulio Cozzoli un artista molto incline a creare ciò che non lo ispirava, sia stato proprio il suo ben noto legame alle tradizioni molfettesi della Settimana Santa ad indurlo a creare i capolavori che sto per illustrare.
Queste statue sono tutte quindi in cartapesta, le uniche opere di Giulio Cozzoli ad essere state realizzate con questa tecnica, con l’ esclusione di altre due realizzazioni del Maestro, che si possono vedere nella Chiesa di S. Stefano, sempre in Molfetta.
Le cito così “en passant” giusto perché sono appena due, pur essendo di grande valenza artistica anch’ esse: una è la statua del protomartire S. Stefano, titolare della omonima Arciconfraternita che organizza la processione dei Misteri del Venerdì Santo (pregevolissime opere in legno di presunta scuola veneziana della prima metà del cinquecento) e l’ altra rappresenta invece la “Esaltazione della Sacra Sindone”, sorretta da due angeli.
Dirò dopo, a proposito di S. Maria Cleofe e della Maddalena, di altre due statue (forse le più belle) che però non hanno mai beneficiato, per così dire, degli onori dell’ altare (almeno una di esse), ma queste sono da considerarsi, perdonatemi il paragone, quello che in filatelia equivale ad un francobollo non emesso.
Nonostante quanto detto sino ad ora, Giulio Cozzoli non può essere però considerato un artista della cartapesta, in quanto questa ha rappresentato nella sua vita artistica solo una minima parte delle sue realizzazioni.
Egli è stato il creatore di grandi opere quali il monumento ai Caduti della guerra del 1915/18 a Molfetta, delle statue marmoree del Marinaio e dell’ Agricoltore site nel portico del palazzo della Provincia di Bari e del famoso gruppo della Deposizione che può ammirarsi, sempre a Molfetta, nel Museo della Fabbrica di S. Domenico.
Artista poliedrico ed eclettico, fu anche valente pittore e, ad ulteriore integrazione delle sue note biografiche, voglio riportare quanto riferito da un suo estimatore, dieci anni dopo la sua morte: “Andavo molto spesso a trovarlo nel pomeriggio. Entro con un amico nel suo studio di palazzo Cappelluti e vedo appesi ai muri una ventina di quadri moderni futuristi (prismi, scacchiere, occhi, scarabocchi) e dico a lui: Maestro, di chi sono questi quadri? Mi guarda e poi fa: di Ilozzoc Oiluig (Cozzoli Giulio al contrario) … Come … vostri? Sì, risponde, in una settimana ne ho fatti venti. Ho voluto esprimere con questo ai moderni artisti una grande verità: io sono capace di fare in pochi giorni anche questi quadri … e voi siete capaci di fare quelli? Ed addita con la mano i lavori classici che aveva nello studio incompiuti, poiché attendeva alle ultime rifiniture.”

Passiamo finalmente alla descrizione delle singole statue e, a questo proposito è doveroso, da parte mia, dire che mi saranno di ausilio alcune note riportate su questo tema dal prof. Cosmo Tridente, molfettese e cultore di tradizioni popolari, che sul mio sito internet “La mia Settimana Santa”, del quale è gradito collaboratore, ne ha curato, ad una ad una, la storia.

La Veronica è la prima statua che Giulio Cozzoli ha realizzato per l’ Arciconfraternita della Morte; siamo nel 1906 e l’ anno successivo andrà per la prima volta in processione.
E’ raffigurata come una giovane donna, nel momento della scoperta del terrificante prodigio, a seguito del quale il volto sanguinante di Gesù rimase impresso sul panno adoperato per tergerne il sudore; è palesemente visibile un moto immediato di spavento e repulsione.
Il suo corpo flessuoso tende a discostarsi dall’ oggetto del prodigio, per cui essa cerca, con le braccia allungate, di tenerlo lontano da sé. Lo sbigottimento è tale che essa ha il viso girato dall’ altra parte, anche se i suoi occhi, lampeggianti di terrore, sono tentati di tornare a guardare. Il viso ha una delicatezza squisita, una fragilità resa più soave dal pallore cereo.
L’ artista si rifece al modello in marmo, realizzato tra il 1629 e il 1640 da Francesco Mochi, collocato nella Basilica di S. Pietro in Roma, opera pregevolissima che però “non vive a contatto diretto col popolo” come la Veronica che, annualmente, percorre il suo secolare e mai variato itinerario per le vie di Molfetta.

La Pietà. Questa statua è, in verità, solo per metà attribuibile a Giulio Cozzoli, in quanto il volto della Vergine, di autore ignoto, risale alla prima metà del settecento; suo è infatti il solo Cristo Morto, giacente sul grembo della Madre.
Il volto della Madonna era così eccezionalmente irripetibile che nell’ affrontare il problema del rifacimento delle statue dell’ Arciconfraternita della Morte, Giulio Cozzoli non pensò mai di rifare l’ immagine di Maria, rendendosi egli stesso conto della pregevolissima fattura di quella statua, autentica opera d’ arte da salvaguardare e trasmettere ai posteri. A parte il volto e le mani, questa statua consisteva, allora come attualmente, di un comune manichino vestito.
Del gruppo della Pietà quindi, il Cozzoli pensò invece di plasmare una nuova immagine del Cristo Morto, ed essendo un perfezionista, nonostante la giovanissima età, e volendo trasporre nell’ arte quella che è la realtà più autentica, cominciò, con la complicità del guardiano del cimitero di Molfetta, a frequentarne la camera mortuaria per studiare la postura dei corpi inanimati nell’ abbandono della morte.
In queste “macabre occasioni” egli elaborò gli schizzi che vennero alla fine tradotti in quel capolavoro che ora tutti possiamo osservare.
Il Cristo, riverso sulle ginocchia della Madre, ha l’ atteggiamento immobile di un cadavere, non però la fissità statica, poiché si articola in tre pose riunite: a sinistra il capo arrovesciato, al centro il corpo dall’ omero alle ginocchia, a destra le gambe pendenti. Un braccio è disteso sul grembo della Madonna, che ne stringe la mano; l’ altro, ricadente all’ ingiù, sfiora con l’ indice il sandalo materno.
Le lesioni inferte alla fronte dalla corona di spine, i lividi grumosi delle battiture, le escoriazioni causate alle ginocchia dalle cadute, i fori dei chiodi alle mani e nei piedi, la piaga aperta e sanguinante nel costato dal colpo di lancia, conferiscono alla statua verosimiglianza e compiutezza nei patimenti subiti da Cristo.
Il volto della Madonna, rigato di lacrime, subì appena un lieve ritocco. Lo scultore volle donargli una più intensa espressione di dolore: un viso di veemente splendore che rappresenta la Vergine al sommo dello strazio, impietrita, come disanimata dalla spada di dolore che la trafigge.
In origine la statua della Madonna stava seduta su una cassa di legno ai piedi della Croce. Il tutto poi, veniva avvolto nell’ ampio manto nero della Vergine, dando l’ impressione che la Croce fuoriuscisse dal dorso della Madonna.
Il Cozzoli corresse il difetto creando un ampio masso di cartapesta, distante dalla Croce recante la sindone e un reliquiario, su cui far sedere la Madonna.
Il rifacimento del gruppo della Pietà porta la data del 1908.

S. Maria Cleofe. Nel suo progetto di rifacimento delle statue, Cozzoli per la prima volta si trovò completamente libero nella ideazione perché non c’ era una immagine preesistente di S. Maria Cleofe da prendere come modello. Doveva solo prendere atto della decisione dell’ Arciconfraternita di togliere dalla processione una statua di Gesù che porta la croce e sostituirla con quella di S. Maria Cleofe.
Cozzoli creò l’ immagine di una donna di media età, di corporatura robusta che a capo chino contempla, raccolti in un panno, i chiodi che hanno trafitto le mani e i piedi di Gesù, e la corona di spine. Una contemplazione assorta che segue a un lungo pianto, come indicano l’ arrossamento e il gonfiore delle palpebre.
Purtroppo, per un calcolo malfatto, la statua risultò notevolmente più alta delle altre statue, disturbando la disposizione armonica delle stesse.
Nonostante l’ imperfezione, la statua di S. Maria Cleofe venne accettata dall’ Arciconfraternita e uscì in processione per la Pasqua del 1914.
Malgrado i numerosi impegni del proprio lavoro, Cozzoli aveva sempre in mente il progetto di rifacimento di tutte le statue del Sabato Santo. Ma soprattutto si sentiva responsabile dell’ involontario errore per cui l’immagine di S. Maria Cleofe era risultata troppo alta. Pertanto, senza chiede ulteriore compenso all’ Arciconfraternita della Morte, riplasmò una seconda versione di S. Maria Cleofe, identica alla prima nella posa, nell’ espressione e nei colori, e naturalmente di altezza uguale alle altre statue.
La nuova statua, ammirata come la precedente, venne portata in processione per la prima volta il Sabato Santo del 1924.

S. Giovanni. In una assemblea dell’ Arciconfraternita della Morte del 19 settembre 1926, il priore pro tempore, Giuseppe Peruzzi, rese noto che la statua di S. Giovanni era corrosa dai tarli in maniera tale da non poter più essere portata in processione, ragion per cui aveva preso contatti con Cozzoli per la realizzazione di una nuova statua. Lo scultore ebbe difficoltà ad accettare perché impegnato a completare il monumento ai Caduti di Molfetta; tuttavia aderì alla richiesta, sottoponendosi ad un più intenso ritmo di lavoro. Preparò vari bozzetti, avendo intenzione di raffigurare San Giovanni non con le mani giunte in atto di preghiera, com’ era la statua precedente, bensì in una posa diversa. Ma gli amministratori insistettero affinché la nuova statua avesse lo stesso atteggiamento. In caso contrario non sarebbe stata accettata di buon grado dalla popolazione. Cozzoli, seppure malvolentieri, dovette piegarsi. Ma l’ ostacolo più grave lo frappose il Vescovo, Mons. Pasquale Gioia. Appena saputo dell’incarico affidato al Cozzoli dalla Confraternita della Morte, ribadì agli amministratori il suo punto di vista: non si poteva infatti impartire la benedizione ad immagini di cartapesta. Dopo frenetici incontri tra Peruzzi e Cozzoli, si convenne che Cozzoli avrebbe plasmato in argilla una statua di sessanta centimetri, completa nei minimi particolari.
Poi, da questo modello, uno scultore veneziano residente a Bari, esperto di riproduzioni lignee, avrebbe ricavato l’ intera statua in legno, che Cozzoli avrebbe in seguito colorato. L’ opera era già in fase avanzata, tutto sembrava andare per il verso giusto, quando lo scultore veneziano, che aveva dato segni di squilibrio mentale, impazzì. Abbandonò la residenza di Bari, senza lasciare alcuna traccia di sé.
Fatto sta che l’ artista veneziano, con la sua pazzia e irreperibilità, aveva creato grossi problemi sia agli amministratori dell’ Arciconfraternita che allo stesso Cozzoli: il tempo stringeva, né si prospettava un’altra soluzione. Per cui Cozzoli eseguì la statua tutta di sua mano e, come le altre, di cartapesta.

S. Pietro. Sotto il priorato di Luigi Sallustio fu commissionata al Cozzoli una nuova statua di San Pietro. L’ opera fu terminata nel 1948.
La nuova statua presenta caratteristiche iconografiche differenti rispetto alla vecchia statua: S. Pietro non più calvo e meno anziano, con la mano non più portata alla fronte ma tra la guancia e l’ orecchio sinistro per accentuare la sorpresa al momento del canto del gallo; la gamba destra è piegata con il piede posato su un gradino del pretorio del procuratore romano Pilato. Tutta la figura è particolarmente curata nei dettagli anatomici ed esprime tutta la drammaticità del momento.
Si dice che per plasmare il petto del santo fu usata cartapesta ricavata da fogli dell’ Osservatore Romano. Anche il gallo che si ammira accanto alla statua dell’apostolo, richiese uno studio attento su un esemplare allevato nella contrada di S. Martino.

S. Maria Salomè era una delle pie donne che ha assistito alla crocifissione, morte e resurrezione di Cristo. La si può identificare come “la madre dei figli di Zebedeo”.
Maria Salomè era dunque moglie di Zebedeo e madre di due figli: Giacomo il maggiore e Giovanni l’evangelista.
Per tale ragione il Cozzoli l’ ha raffigurata come una donna anziana della Galilea, con lo sguardo accorato, il volto contratto in un pianto sommesso, che sorregge tra le mani un vasetto di oli profumati da servire all’ imbalsamazione del corpo di Gesù Cristo.
Fu realizzata nel 1953 in sostituzione di una statua lignea del 1928 proveniente da Ortisei.

S. Maria Maddalena. Lo scultore mise particolare cura nel dar vita alla statua della Maddalena, che realizzò con fervorosa dedicazione, segnando una vetta insuperata nella sua produzione artistica.
Presentata al pubblico durante l’ estate del 1950, questa statua riscosse un ampio consenso ma, se raccolse adesioni per il pregio artistico, sollevò parecchie critiche e perplessità per motivi di carattere morale.
Infatti l’ autore aveva ritratto Maria di Magdala in un atteggiamento di appassionata femminilità. La giovane donna, di vistosa avvenenza, aveva le braccia interamente scoperte e distese nella stretta frenetica delle mani, il capo rivolto all’ indietro esaltando la nudità del collo, le folte chiome ricadenti in ondate oscillanti sul mantello, il volto abbagliante, accecato dal furore delle lacrime.
Si dice che ad ispirare l’ artista sia stata una bellissima ragazza slava di nome Tatiana Sokolov, che in quegli anni viveva a Molfetta con il padre, entrambi “sfollati” alla fine della seconda guerra mondiale che, guarda un po’, hanno coabitato con i miei nonni, nella mia casa natale, per un certo numero di anni.
Il Vescovo, Mons. Achille Salvucci, uomo di grandissima saggezza, appena prese visione dell’ opera, la giudicò non adatta ad una processione, vietandone l’ acquisto all’ Arciconfraternita della Morte.
Fu da allora denominata “la Maddalena scandalosa”.
Grande fu l’ amarezza del Cozzoli nel vedere in un certo senso ripudiata la sua opera alla quale aveva offerto tutta la sua dedizione ed il suo estro.
A distanza di oltre cinquant’ anni, il sottoscritto, priore dell’ Arciconfraternita della Morte dal 2004 al febbraio 2010, ha offerto alla vista e al giudizio dei molfettesi la Maddalena “scandalosa” dal 13 gennaio al 3 febbraio 2008, nella Chiesa del Purgatorio, per gentile concessione del Sig. Maurangelo Cozzoli, nipote e allievo dello scultore Giulio Cozzoli, nel corso delle celebrazioni per il cinquantenario della morte dell’artista.
E’ stato praticamente un evento perché mai nessuno la aveva vista prima di allora, essendo la statua gelosamente custodita in casa da legittimo proprietario.
Oggi quelle spalle scoperte, quelle labbra rosse, quel viso rigato dalle lacrime, quei lunghi capelli castani che coprono la schiena nuda, quella postura di consegna, quella bellezza stupenda di donna, non fanno più gridare allo scandalo.
In seguito l’ Amministrazione dell’ Arciconfraternita della Morte, desiderosa di completare la serie delle statue del Sabato Santo ad opera della stessa mano, chiese a Giulio Cozzoli di realizzare un’ altra immagine della Maddalena.
Cozzoli acconsentì, ma senza alcun entusiasmo. La sua creatività si era ormai esaurita: le forze gli venivano meno e l’ affievolimento della vista gli creava difficoltà.
L’ opera ripetè, nelle linee essenziali, la figura della precedente ma, a differenza di quella, fu rappresentata castigata nelle vesti e, come tale, ebbe la giusta approvazione del Vescovo Mons. Salvucci.
Fu portata in processione durante la Settimana Santa del 1956.

Si chiude, con la Maddalena, il ciclo cinquantennale che ha visto Giulio Cozzoli impegnato nel rifacimento delle statue processionali dell’Arciconfraternita della Morte.
Dobbiamo infine parlare, sto per concludere, della statua della Beata Vergine Addolorata.
Questa statua che, come la Vergine della Pietà, consiste in un manichino vestito, fu commissionata dai coniugi Magarelli, residenti negli Stati Uniti, che vollero donarla all’ Arciconfraternita della Morte per devozione.
Giulio Cozzoli iniziò la realizzazione della testa della Madonna, ma non riuscì a completare l’ opera perché intervenne la sua morte nel 1957. A terminarla fu il nipote Maurangelo Cozzoli, che per tanti anni lo aveva assistito nella realizzazione delle sue opere, permettendo quindi che nel Venerdì di Passione del 1958, la nuova statua dell’ Addolorata potesse essere portata in processione.
Queste statue che ho appena finito di descrivere, a seguito di una processione che nel 1971 si svolse interamente (ed inavvedutamente) sotto la pioggia, furono restaurate, per modo di dire, nel 1981 ma in una tale maniera che lo stesso Maurangelo Cozzoli, nipote dello scultore, non riconoscendole più come lo zio le aveva create, non volle più rivederle.
A distanza di quasi trent’ anni, il sottoscritto, al termine della sua Amministrazione dell’ Arciconfraternita della Morte, le ha fatte restaurare in Andria presso il laboratorio dei bravissimi Valerio Iaccarino e Giuseppe Zingaro, su indicazione del Prof. Gaetano Mongelli, docente universitario di Storia dell’ Arte presso l’ Ateneo barese.
Il risultato è quello che avete sin qui potuto vedere nelle immagini da me proiettate: le statue di Giulio Cozzoli riportate all’ originario splendore, così come le concepì il loro grande creatore.
Con questo concludo quello che nel mio intento è stato un mio personale omaggio al grande Maestro Giulio Cozzoli, che sin da bambino ho ammirato e del quale ho sentito parlare, anche in considerazione del fatto che nella stessa stanza nella quale sono nato nel 1955, per diversi anni ha vissuto colei che posò come modella per “la Maddalena scandalosa”.
Ringrazio tutti per l’ ascolto.

------------------------------- dott. Francesco Stanzione
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