"L' Altra Molfetta" di marzo 2018
Articolo del dott. Francesco Stanzione
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Il
confratello Ignazio Pansini riporta
nel suo autorevole volume “La Chiesa e l’Arciconfraternita di S. Stefano” (1955 e successiva
II edizione del 1980) che una processione dei Misteri aveva luogo a
Molfetta già intorno al 1570, costituendo per la città un evento di grande
risonanza per una duplice motivazione:
-
che a quell’epoca, essendo passati pochi anni dalla chiusura del Concilio di
Trento e quindi dalla Controriforma (1563)
non erano ancora molto diffuse le processioni al seguito di simulacri;
-
per la bellezza delle statue e la solennità con cui si svolgeva la processione.
L’Arciconfraternita
di S. Stefano organizzava la processione nelle ore serali del Giovedì Santo, al
termine dell’Ufficio delle Tenebre celebrato in Cattedrale ed aveva lo scopo di
dare ai confratelli la possibilità di visitare i “Sepolcri” allestiti nelle chiese.
Che
l’Arciconfraternita di S. Stefano avesse tra le sue finalità lo svolgimento di
una processione dei Misteri nella serata del Giovedì Santo, si rileva anche
dalla relazione di una visita pastorale che Mons. Pompeo Sarnelli compì il 3
giugno del 1699, nella quale si legge: “…
in Coena Domini sub vesperum ad Processionem Mjsteriorum Passionis Christi que
in illo vero fieri solet”.
Inoltre,
secondo quanto riportato ventisette anni più tardi a pagina 157 del “Synodus” di Mons. Fabrizio Antonio
Salerni, Vescovo di Molfetta, in data 15 settembre 1726, la processione
percorreva il seguente itinerario:
“La sera del Giovedì Santo esce da S. Stefano,
entra per la porta maggiore della città, per la strada del Salvatore, passa per
entro la Cattedrale, gira per S. Girolamo, S. Lorenzo, Molini, S. Pietro, va
per la piazza, per la Mente, esce dalla porta del Castello, entra nelle chiese del Purgatorio e del Gesù
e rientra nella propria”.
Facendo
riferimento alla attuale toponomastica, la processione usciva dalla Chiesa di
S. Stefano e, come ancora oggi, si dirigeva verso il Centro Storico nel quale
vi entrava dall’“Arco della Terra”;
attraverso via del Salvatore e largo Chiesa Vecchia raggiungeva il Duomo (che
all’epoca era ancora la Cattedrale di Molfetta), vi entrava per la visita al “Sepolcro” e riprendeva
l’itinerario, imboccando la attuale via
Preti e girando subito per via S. Girolamo dalla parte posteriore del Duomo.
Quindi, attraversando l’arco di S. Nicola che si trova alla fine di via Piazza,
percorreva tutta via S. Orsola, il tratto terminale di via Morte (detta dei “Molini” per l’esistenza colà di mulini)
e usciva su piazza Municipio dalla quale imboccava via S. Pietro. Giunta
nuovamente su via Piazza, la processione girava successivamente per via Amente
dalla quale, uscendo nuovamente su piazza Municipio, raggiungeva la Chiesa del
Purgatorio e vi entrava; dopo la visita al “Sepolcro”
del Purgatorio, raggiungeva la vicinissima Chiesa dei Gesuiti (la attuale
Cattedrale) e dopo esserne uscita, per via Dante Alighieri ritornava a S.
Stefano.
Le prime
quattro statue erano inizialmente portate da devoti cittadini in camice bianco,
accompagnate da altri con ceri accesi; ciò avvenne fino al 1838, allorquando
furono sostituiti dai confratelli degli altri sodalizi molfettesi.
La statua
del Cristo Morto invece, preceduta dai soli confratelli di S. Stefano, era
portata da otto Canonici in mozzetta e stola nera ed era collocata su una bara,
molto simile alla attuale e contornata da sei fanali esagonali; la “coltre”, rispetto ad oggi, era però in
velluto nero con frange in argento.
Non
essendovi ancora a quei tempi le bande musicali, la processione era seguita dal
popolo che pregava ed intonava inni sacri adatti alla circostanza,
accompagnati successivamente dal suono
di strumenti a corda; solo agli inizi del 1800, la costituzione a Molfetta di
un primo complesso bandistico permise l’accompagnamento di canti e preghiere da
parte di strumenti metallici.
Dal 1760,
poiché la processione effettuata nelle ore serali del Giovedì Santo interferiva
con la visita dei fedeli ai Sepolcri, a causa delle strettissime vie del borgo
antico e delle piccole dimensioni delle chiese visitate, l’orario di uscita fu
spostato alla sera del Venerdì Santo, dopo le tre ore di agonia, provocando
però l’inconveniente che i Canonici non vollero più sobbarcarsi alla fatica di
portare a spalla la sacra immagine del Cristo Morto, dopo le tante funzioni
religiose di quella giornata.
A ciò i
confratelli di S. Stefano, non essendoci all’epoca tra loro chi fosse disposto
a sostituire gli otto Canonici, ovviarono affidando il Cristo ad altri fedeli
devoti in camice bianco ma con il volto coperto da un cappuccio dello stesso
colore, scelti tra il ceto dei marinai, situazione che andò avanti fino al
1850, anno a partire dal quale furono solo ed esclusivamente i confratelli di
S. Stefano a portare a spalla la statua di Cristo Morto.
La
processione dei Misteri nelle ore serali del Venerdì Santo dovette durare per
non molti anni, in quanto già nel 1790 risultava svolgersi nelle ore
antimeridiane della stessa giornata , come riferisce Ignazio Pansini nella sua
già citata pubblicazione, a proposito di una “disputa” tra l’Arciconfraternita di S. Stefano e quella della
Morte che si protrasse fino al 1807; oggetto di tale contendere erano gli orari
di uscita delle processioni delle due Arciconfraternite.
Nel
febbraio di quell’anno infatti, l’intendente della Provincia, allo scopo di
dirimere la controversia, decise di riportare la processione dei Misteri alle
ore serali del Giovedì Santo, come dall’origine fino al 1759, e quella
dell’Arciconfraternita della Morte dalle prime ore del Sabato Santo alle prime
ore del Venerdì Santo.
Solo per la
Settimana Santa del 1807 questa decisione fu comunemente accettata dalle due
Arciconfraternite che, con un documento del 27 marzo dello stesso anno,
raggiunsero l’accordo di ripristinare lo svolgimento delle rispettive processioni
alle ore antimeridiane del Venerdì Santo per S. Stefano e a quelle
antimeridiane del Sabato Santo per quella della Morte.
Per di più,
combinazione volle che il protrarsi delle cattive condizioni atmosferiche,
dalla sera di quel Giovedì Santo del 1807 fino al mattino successivo, impedì
anche lo svolgersi della processione dei Misteri (è questa l’unica volta nella
storia in cui la processione risulta non essersi svolta a causa del maltempo).
Il “dottor fisico” molfettese Michele
Romano, nel suo “Saggio sulla storia di
Molfetta dall’epoca dell’antica Respa sino al 1840” riporta una versione
leggermente diversa rispetto a quella del già citato Ignazio Pansini (secondo
il quale la processione dei Misteri sarebbe uscita nelle ore serali del Giovedì
Santo fino al 1759), indicando invece il 1750 come ultimo anno.
Infatti a
pagina 157 del secondo volume del “Saggio”
(Parte seconda, dal 1700 sino al 1840 - Capitolo XV, Paragrafo XVI ) egli
scrive testualmente che: «Sino al 1750 la
processione di S. Stefano girava nel giovedì santo sera dopo le tre ore. Con
saviezza, credo, differita siasi nella mattina del venerdì. Sovvienmi il
sentimento del poc’anzi cennato Melchiorre Gioia, parlando delle processioni
notturne, quale così pronunzia: Queste processioni sogliono essere canale di corruzione 1° perché la notte scema il
timore del pubblico sguardo, 2° perché le cerimonie prestano occasione ai
concerti, 3° perché essendo gratuite, presta luogo a qualsiasi concorrente, 4°
perché la concorrenza è giustificata dalla santità del motivo. Vienmi innanzi
mente la tradizione, che in quella processione s’immischiavano gli Auto-de fe,
i Flagellanti, e credo che per tal cagione. E’ a soggiungersi, che in
quell’epoca la statua di Cristo morto, portavasi da otto Canonici confratelli».
Si potrebbe
allora pensare ad un errore di trascrizione dell’anno, ma da parte di chi? … da
parte del Pansini o del Romano?. Sicuramente è più attendibile la versione di
quest’ultimo, dal momento che la stampa del “Saggio
sulla storia di Molfetta” risale al 1842, epoca quindi molto più vicina a
quanto riferito.
Quello che
più è interessante nella descrizione di Michele Romano sono comunque due
aspetti:
- le
motivazioni del trasferimento dell’orario, da serale (Giovedì Santo) a
mattutino (Venerdì Santo), diverse da quelle citate da Ignazio Pansini;
- la
presenza, durante la processione dei Misteri, di quelli che egli chiama gli “Auto-de fe”, ovverossia gli “autodafé”, e dei flagellanti.
Questa è
l’unica testimonianza attendibile circa la presenza dei flagellanti nelle
processioni pasquali molfettesi, della quale poco si conosce forse proprio
perché la loro scomparsa risale ormai a più di due secoli e mezzo.
Raccapricciante
invece è la esistenza, in quella occasione, degli “Autodafè” o “auto da fé” o ancora “sermo generalis”, una cerimonia
pubblica, facente parte soprattutto della tradizione dell’Inquisizione
spagnola, in cui veniva eseguita, “coram
populo”, la penitenza o condanna decretata dall’Inquisizione. Il nome
deriva dal portoghese “auto da fé”
(in spagnolo, “auto de fe”), cioè “atto di fede”, e fu il cerimoniale
giuridico più impressionante messo a punto e usato dall’Inquisizione.
Un “autodafé” prevedeva in Spagna: una
Messa, preghiere, una processione pubblica dei colpevoli e la lettura della
loro sentenza. I condannati venivano trascinati in pubblico con i capelli
rasati, vestiti con sacchi (sanbenitos)
e berretti da somaro (corazos) e
condotti a colpi di “azotes”
(sferzate) in numero variabile secondo la sentenza (sicuramente ciò non sarà
avvenuto a Molfetta in quel periodo, durante la processione dei Misteri).
Successivamente
a quel 1807 al quale si è poc’anzi accennato, la processione non è uscita, però
per motivi bellici, nel 1916, 1917 e 1918 (I Guerra Mondiale) e successivamente
nel 1941, 1942 e 1945 (II Guerra Mondiale), anche se bisogna ricordare che nel
1942 uscì per appena due ore, dalle 8.00 alle 10.00, a mattinata inoltrata e
quindi in piena luce, la sola statua di Cristo Morto.
Dalle
testimonianze raccolte su questa particolare processione (unica nella storia)
da quanti hanno personalmente vissuto quei momenti, è sempre trasparsa
l’intensa commozione delle tante mamme che, al passaggio del corpo esanime del
Cristo, ricordavano quello del figlio perso in guerra e piangevano
disperatamente.
Anche
l’itinerario processionale citato dal Salerni nel 1726, dovette durare
inalterato fino a qualche anno dopo il 1760, quando cioè la città cominciò ad
ingrandirsi. Presumibilmente, da quegli anni in poi, la processione al suo
arrivo nei pressi di S. Stefano, anziché terminare, proseguiva per la banchina
S. Domenico e (sempre presumibilmente, ma non ci sono alternative) girando per
quella che è attualmente via Poli, raggiungeva via Catecombe; quindi
attraversava la “Piscina Comune”
(largo Domenico Picca) e per via Sigismondo e via Sant’Angelo ritornava su via
Dante Alighieri per rientrare in S. Stefano.
Nei primi
decenni del 1800 la ulteriore espansione dell’abitato di Molfetta determinò
ancora una variazione dell’itinerario della processione dei Misteri nel senso
che, anziché ritornare su via Dante Alighieri, dalla già menzionata “Piscina Comune” si procedeva verso via
Annunziata, al termine della quale si girava per via S. Vincenzo, immettendosi
a metà della odierna via Margherita di Savoia (non è però escluso che già da
quest’epoca via Annunziata veniva imboccata provenendo da via S. Benedetto per
quella che ora è via Tenente Ragno).
Tra la fine
del 1800 e gli inizi del 1900, in seguito alla ulteriore espansione di
Molfetta, l’itinerario fu definitivamente adeguato alla nuova realtà.
Infatti dal
1911 (e da allora è rimasto come attualmente), giunta alla fine di via
Annunziata, la processione proseguì non più per via S. Vincenzo, ma attraverso
piazza Paradiso e via Immacolata, per via Daniele Manin e successivamente la
lunga e nuovissima via Roma (fino all’ultimo dopoguerra polverosa e non
lastricata), raggiungeva piazza Cappuccini dalla quale si ricongiungeva con via
Margherita di Savoia.
Intanto fu
solo intorno alla metà del 1800 che la banda musicale al seguito della
processione cominciò a suonare, come ancora avviene, marce funebri composte da
maestri molfettesi quali Vincenzo Valente e Saverio Calò, tra l’altro Priore di
S. Stefano.
Dal 1808 al
1955 quindi, l’uscita del Cristo Morto è sempre avvenuta alle ore 4.00 del
mattino del Venerdì Santo.
A partire
dalla Settimana Santa del 1956, per disposizione del Vescovo di Molfetta Mons.
Achille Salvucci, in ottemperanza alle direttive del “Novus Ordo” emanato da Papa Pio XII, tale uscita fu differita alle
ore 16.00 del Venerdì Santo.
Questa
decisione andò a sconvolgere una tradizione quasi bicentenaria alla quale molti
confratelli di S. Stefano erano fortemente legati e non avrebbero voluto
rinunciare; purtroppo ogni tentativo di ritornare all’orario tradizionale andò
ad infrangersi contro la volontà di Mons. Salvucci, rigidamente posizionato
sull’osservanza di quanto prescritto dal “Novus
Ordo”.
In realtà
quella di Mons. Salvucci fu una personalissima interpretazione di quanto
previsto dal “Novus Ordo”, tanto è
vero che in tante realtà limitrofe o comunque soggette alla Conferenza
Episcopale Pugliese, gli orari delle processioni che si svolgevano di notte o
all’alba rimasero immutati (Ruvo, Trani, Taranto …).
Dal 1956 al
1987 la processione dei Misteri ha subito piccole ma continue variazioni negli
orari di uscita; infatti più volte l’uscita del Cristo Morto è avvenuta anche
alle ore 15.00, secondo la volontà delle amministrazioni pro tempore di S.
Stefano.
Se però
l’uscita alle ore 16.00 o, se si vuole, anche alle ore 15.00, si conciliava con
l’imposizione vescovile del 1956, la Liturgia ufficiale del Venerdì Santo era
fortemente penalizzata in quanto la gente preferiva assistere alla processione
piuttosto che partecipare alla funzione “in
Morte Domini” che contemporaneamente si svolgeva nelle chiese della città.
Per ovviare
a ciò, dal 1971 al 1976, qualche "bella
mente" concepì una delle cose più nefaste che siano accadute nei quasi
450 anni di storia della processione; far entrare nella Cattedrale i cinque
Misteri, subito dopo l’uscita da S. Stefano, senza imboccare l’arco di Molfetta
Vecchia, per permettere ai confratelli e alla popolazione di assistere alla “Azione liturgica” detta “In Morte Domini”.
Fortunatamente
questa iniziativa abortì dopo sei anni, ma siccome non c'è mai fine al peggio,
nei tre successivi (dal 1977 al 1979) fu invitato il Vescovo Mons. Aldo Garzia
ad officiare una omelia subito dopo l’uscita del Cristo Morto, al termine della
esecuzione della marcia funebre “Conza
Siegge”.
Dopo quindi
quasi un decennio di inopportuni ed antiestetici interventi sullo svolgimento
della processione, si ritornò alla normalità nel 1980.
In quegli
anni “bui”, nonostante le
Amministrazioni dell’Arciconfraternita di S. Stefano si adoperassero ad
eliminare tutto ciò che era tradizione (forse per mancanza di senso estetico o
per ignoranza), c’era un gruppo di confratelli che sognavano il ritorno
dell’uscita della processione all’orario antecedente il 1956.
Per dare
forza a questo scopo nacque il Circolo “Amici
della Tradizione” e fu organizzata, a partire dal 1975, una “Via Crucis” che iniziava alle ore 4.00
del mattino, per ricordare l’antica tradizione.
Tale “Via Crucis” è da considerare il punto
di partenza di tutta una serie di iniziative nella città e presso l'Autorità
Ecclesiastica che portarono alla storica Assemblea dei Confratelli di S.
Stefano del 24 gennaio 1988, nella quale fu deliberata la richiesta al Vescovo
di fare uscire la processione all’alba
del Venerdì Santo.
Fu così che alle ore 4.00 in punto del 1° di aprile del 1988, dal piccolo portone dell’antica Chiesa di S. Stefano, spuntarono i piedi del Cristo Morto disteso sulla sua bara circondata da sei fanali, come avvenuto fino alla Settimana Santa del 1955 e da allora ad oggi non vi sono state altre modifiche, anche perché l’alternativa all’uscita mattutina sarebbe una eventuale uscita nel tardo pomeriggio del Venerdì Santo, al termine della funzione in Cattedrale, con conseguente protrarsi della durata della processione fino a nottata abbondantemente inoltrata … ipotesi non percorribile.Da trent'anni a questa parte fortunatamente nulla è cambiato ... e speriamo che anche in futuro qualcuno non estragga dal suo cappello a cilindro qualche altra inopportuna "trovata" nella speranza di passare anch'egli alla storia (ovviamente negativamente).
dott. Francesco Stanzione - Settimana Santa 2018