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L'INTERVISTA DELLA SETTIMANA CON L'AUTORE DEL LIBRO "LA MIA SETTIMANA SANTA"

  
"MOLFETTA LIVE" del 01 febbraio 2013

Intervista al dott. Francesco Stanzione

A meno di due settimane dall’inizio dei riti processionali, attraverso i quali si rivive la Passione di Cristo, abbiamo posto al dott. Francesco Stanzione, già priore dell’Arciconfraternita della Morte e autore del libro “La mia Settimana Santa”, fresco di pubblicazione, alcune domande in merito alla sua esperienza alla guida dell’arciconfraternita dal sacco nero e alcune considerazioni, nonché curiosità, sulla vita associativa delle confraternite e sul loro futuro.
Ne è venuta fuori una piacevole conversazione, ricca di spunti di riflessione, che ci ha permesso di constatare, attraverso gli occhi e le parole del nostro interlocutore, come forte sia il senso di appartenenza alle confraternite, nonché il legame con le nostre tradizioni pasquali.

Molti conoscono le confraternite per la loro partecipazione attiva alle processioni pasquali, ma sappiamo che esse operano per un anno intero.
Coloro che conoscono le confraternite molfettesi esclusivamente in relazione al loro coinvolgimento partecipativo alle processioni della Settimana Santa, evidentemente le conoscono sotto questo aspetto solo perché, per diversi ma sempre soggettivi motivi, non hanno avuto modo o interesse di conoscerle in maniera più approfondita. Se solo un poco approfondissero la loro conoscenza della realtà rappresentata dalle confraternite, si renderebbero conto che la loro presenza a queste manifestazioni esterne è solo un momento della vita sociale dei vari sodalizi. Vi è un binomio che costituisce il minimo comun denominatore senza il quale esse stesse non sarebbero confraternite, cioè quelle che per definizione sono associazioni pubbliche di fedeli: la Fede e la Carità.

Come ben dice, le Confraternite agiscono e devono agire nel solco della Carità, semmai la solidarietà deve essere tra i sodali per attuare la Carità, attraverso anche forme di sussidiarietà.
Per andare su esempi pratici, tutte le Confraternite molfettesi prevedono nei loro bilanci ordinari una quota percentuale delle entrate, da destinare ad opere di Carità. Molte di esse vanno oltre il semplice atto elargitivo verso eventuali bisogni, tanto è vero che, proprio durante la appena trascorsa Epifania, la Confraternita di S. Antonio, mettendo a disposizione i propri confratelli, ha collaborato con la Croce Rossa ad una distribuzione di pacchi di pasta, farina, latte e vari generi alimentari, a famiglie e anziani soli o in condizioni di disagio, curandone la raccolta tra i cittadini molfettesi nel periodo precedente il Natale. Molti sono anche i confratelli di S. Stefano che, sensibilizzati dalla Arciconfraternita di appartenenza, sono diventati abituali donatori di sangue presso la locale sezione dell’A.V.I.S., ma quanto detto non è che una piccola parte dei tanti esempi di Carità concreta ad opera delle Confraternite.

Quali sono i rapporti tra la Confraternita e la Chiesa? In particolare quale ruolo ha il Vescovo nella vita delle Confraternite?
Rispondo a questa domanda dicendo che non si può parlare di rapporti tra la Confraternita e la Chiesa, per il semplice fatto che la Confraternita stessa è Chiesa, ed in quanto tale soggetta alla Autorità del Vescovo che ha nella comunità ecclesiale il ruolo di punto di riferimento e di guida. Ho spesso espresso, a tale proposito, il concetto che tutto ciò che viene compiuto dalle Confraternite è sempre degno di credibilità, proprio perché sottoposto alla autorità dell’Ordinario Diocesano. Può capitare, come è a volte capitato, che questa credibilità venga meno, ma gli interventi del Vescovo sono sempre pronti e mirati a rimettere su binari sicuri quei convogli tendenti a deragliare, mettendoli in condizione di viaggiare spediti.

Potrebbe raccontarci brevemente come si prepara un confratello ai riti pasquali ed in particolare alle tradizionali processioni? Quali sono i momenti salienti e magari quelli che lei considera più emotivi?
Come si preparino gli altri non saprei dirlo, posso immaginarlo, ma ognuno di noi è diverso dall’altro, come sensibilità ed aspettative. Posso solo parlare per me, dicendo che le processioni rappresentano il momento culminante di una attesa durata un anno che però, senza aver vissuto pienamente la Quaresima, non solo non ha senso, ma non appaga nemmeno. Voglio semplicemente dire che giungere alle processioni senza aver partecipato a tutte le Funzioni Quaresimali (Pio Esercizio a Maria SS. della Pietà e Settenario della Addolorata, al Purgatorio, e Cinque Venerdì e Ufficio delle Tenebre, a S. Stefano), non mette in condizione di goderle appieno. E’ come, in un pranzo, arrivare al dolce, saltando il primo, il secondo ed il contorno. Non sazia. Non soddisfa. Nell’ambito delle processioni, i momenti più densi di emozioni, sono per me quelli delle uscite, in particolare parlo dell’uscita della Addolorata, per tutta una serie di motivi; perché è la prima processione e quindi si colloca al termine della lunga attesa, perché mi evoca tanti ricordi dell’infanzia e, non ultimo, per l’aspetto squisitamente mistico-devozionale, legato alle grida che un tempo (io ho appena fatto in tempo a sentirle) alcune donne del popolo lanciavano all’apparire della Madonna sull’uscio della chiesa, invocando grazie per se o i congiunti.

Colonna sonora delle processioni pasquali sono le marce funebri. Molti confratelli hanno il piacere di ascoltarle anche nei periodi extra-pasquali. Quali sono le sue preferite?
L’ascolto delle marce funebri del nostro vasto patrimonio musicale locale non è appannaggio esclusivo di chi è confratello; rappresenta un punto di riferimento per tutti quelli che sono nati in questa città, senza distinzione di ceto, cultura o credo politico, soprattutto quando si è lontani da essa.  Molti sono i molfettesi non residenti che, attraverso l’ascolto o il fischiettare le note di una marcia funebre, si sentono in quel momento idealmente legati al luogo natio; in un certo senso, attraverso questi gesti, viene espresso il senso della appartenenza alla comunità. Ciò può avvenire, anzi per lo più avviene, anche in periodi extra pasquali e di ciò personalmente rappresento un esempio, ascoltando non solo quelle molfettesi, ma anche quelle di altre località quali Taranto, Ruvo o Bitonto. Delle marce funebri di quest’ultima sono particolarmente un estimatore, anche se le mie preferite sono sempre quelle molfettesi tra le quali prediligo il primis lo “Sventurato” di Valente, seguito da la “Maledetta” del barlettano Petrucci e “Varcheceddare”, sempre di Valente e meglio conosciuta come “Pescatore”.

Un aspetto spesso criticato alle Confraternite (o almeno per alcune) dai non praticanti è la chiusura verso l’esterno. Cosa ci dice al riguardo? Cosa risponde loro?
Quella della chiusura delle Confraternite, o per lo meno di alcune di esse, verso l’esterno è, a mio parere, solo una “leggenda metropolitana” destituita di qualsivoglia fondamento e non riscontrabile nella realtà. Molte volte questa è una accusa mossa da chi è fuori dagli ambienti confraternali, più per ignoranza nel senso di mancanza di conoscenza, che per cattiva fede. Infatti, proprio per il peculiare carattere di associazione pubblica di fedeli, nessuna confraternita può essere chiusa all’esterno o, peggio, a numero chiuso. Ove ciò potrebbe sembrare, sono sempre motivi di organizzazione interna a determinare una certa “accortezza” nelle affiliazioni, piuttosto che di esclusione preconcetta. Ogni Confraternita ha comunque delle caratteristiche che la diversificano dalle altre, per cui è giusto che vi sia una certa, come già detto “accortezza” nelle ammissioni indiscriminate. Soprattutto le due Arciconfraternite sono state, nell’ultimo trentennio,  oggetto del desiderio di elementi transfughi da altre realtà confraternali, unicamente per poter esercitare la loro voglia di essere dappertutto, portando in esse modi comportamentali non confacenti alle loro peculiarità. A tale proposito devo, con mia grande soddisfazione, riconoscere la grandissima opportunità del recente provvedimento vescovile mirante a limitare, da ora in poi, la iscrizione ad una sola Confraternita e, per quanti attualmente fanno ancora parte di più di una di esse, a vietare di potere adire a cariche elettive in una, avendone già ricoperte in altre.

Alcuni ritengono che la passione verso i riti processionali si stia perdendo e che si rischia di non avere un ricambio generazionale. Essendo stato alla guida di una Confraternita così numerosa come quella della Morte, si sente di confermare tale dato?
A riguardo di questa domanda, proprio per avere per ben sei anni e quasi due mesi, amministrato l’Arciconfraternita della Morte, posso affermare che è esattamente il contrario. Sbaglia chi pensa che l’interesse verso questi antichi riti sia in fase discendente … tutt’altro. Infatti sono proprio i giovani quelli che chiedono di far parte dell’Arciconfraternita (e più in generale delle Confraternite). A fronte di circa mille confratelli già iscritti, tra il 2004 ed il 2009, sotto la mia amministrazione, sono entrati a far parte del sodalizio quasi un centinaio di giovani la cui età media era sui venti o ventuno anni. Sono numeri questi che fanno intendere un calo di interesse delle giovani generazioni verso i riti della nostra Settimana Santa? Anzi, devo dire che, rispetto alle altre confraternite, la media dell’età anagrafica dei confratelli della Morte è bassissima, ove si consideri che il sottoscritto, avendo una età di 57 anni, è tranquillamente annoverabile tra gli anziani, essendo ormai veramente pochi quelli iscritti prima del 1970, anno della mia iscrizione. Del resto basterà, durante la prossima Settimana Santa, osservare la lunga teoria dei confratelli della Morte in processione. Solo al termine della doppia fila c’è qualcuno un pò avanti negli anni, ma il resto è costituito da giovani e giovanissimi. Quanto detto fa ben sperare per il futuro, atteso che a partire dalla mia amministrazione, tutti coloro che sono entrati a far parte dell’Arciconfraternita, hanno compiuto un cammino di formazione piuttosto lungo, che li ha resi molto più responsabili rispetto al passato, nei confronti di ciò che significa diventare confratello.

Ci può raccontare il momento più bello e quello meno bello della sua vita di amministratore della Confraternita?
Il mio doppio mandato da Priore, è stato ricchissimo di momenti belli, per cui mi è difficile fare una classifica in proposito. Volendo però provarci, non il momento più bello, ma i momenti più belli, per me che ho da sempre vissuto nel culto della Settimana Santa, sono stati i minuti trascorsi dietro il portone chiuso della Chiesa del Purgatorio, poco prima che venisse aperto per dare inizio alle processioni della Addolorata e della Pietà, guardando l’orologio in attesa dell’istante esatto in cui aprirlo, con gli Stradari e i portatori del paliotto, della Croce e dei fanali già schierati. In quei minuti sentivo tutta la responsabilità di cui ero investito, nell’essere proprio io a fare in modo che tutto andasse per il meglio nel rinnovare, ancora una volta, la nostra plurisecolare tradizione. Ho vissuto questi istanti bellissimi per dodici volte in sei anni.

Momenti da ricordare negativamente?
Sembrerà strano, ma non ne ho mai vissuti, perché comunque l’onore di presiedere un così nobile ed antico sodalizio travalica qualsiasi aspetto negativo possa presentarsi nel corso del mandato…e poi posso ritenermi soddisfattissimo dal grandissimo consenso che ho sempre ricevuto e continuo a ricevere da parte dei confratelli. Semmai ho il rammarico di non essere riuscito a dare una degna successione alla mia amministrazione…ma come si dice anche al termine di tante fiabe: questa è un’altra storia.

In passato, durante la sua amministrazione, c’è stato il tentativo di promuovere i riti pasquali, facendoli rientrare nel progetto “Settimana Santa in Puglia”. Alcuni hanno criticato tali iniziative, altri invece ne hanno colto aspetti positivi. Ci può chiarire le ragioni di quella scelta? La rifarebbe? E ritiene abbia apportato dei benefici?
Non è esatto ritenere che durante la mia amministrazione dell’Arciconfraternita della Morte io abbia tentato di promuovere i riti della Settimana Santa, facendoli rientrare nel progetto “Settimana Santa in Puglia”. E’ semmai vero il contrario, e cioè che tale progetto è partito dalla mia volontà, relativa al solo anno 2007, di dare più visibilità alle nostre tradizioni pasquali,  affidando all’amico Gaetano Armenio, presidente della Associazione Opera, l’incarico di quello che è stato il progetto “Settimana Santa a Molfetta”. Sulla base di questa esperienza, dall’anno successivo partì quello che attualmente è il progetto “Settimana Santa in Puglia”, nel quale Molfetta rientra come Comune e non come Arciconfraternita della Morte, e con il quale questa non c’entra nella maniera assoluta. Quanto alle critiche posso solo dire che, come in ogni iniziativa, ci sono stati due popoli … quello che non ha gradito ed ha criticato e quello che ha gradito e plaudito … ma questo è fisiologico. A me rimane la soddisfazione di aver registrato che quanti hanno giudicato positivamente quella mia iniziativa sono stati molto ma molto più di quanti l’hanno avversata . Proprio perché da allora la Settimana Santa molfettese non è più conosciuta solo a livello locale, ma è apprezzatissima anche fuori, ritenendo di aver svolto un servizio alla mia città, rifarei questa esperienza.




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